Le storie dello sport, a volte, finiscono per legare i destini di personaggi molto diversi tra loro. È il caso di Luigi Musso ed Eugenio Castellotti, giovani leoni della Formula 1 di fine anni ’50.
C’è stato un periodo, agli albori delle corse automobilistiche, in cui i piloti italiani rappresentavano la scuola più forte al mondo. Dei primi quattro titoli mondiali assegnati, ben tre se li aggiudicarono piloti italiani; Farina nel 1950, Ascari nel ’52-’53. Senza contare i titoli che avrebbero potuto vincere i vari Varzi, Nuvolari e Villoresi se il mondiale fosse stato istituito qualche anno prima. Quando, nel 1955, Ascari perse la vita a Monza e Farina era ormai a fine carriera, i nomi degli eredi di questi grandi campioni erano già conosciuti da tutti: Eugenio Castellotti e Luigi Musso.
Castellotti nacque a Lodi il 10 Ottobre del 1930 da una famiglia piuttosto benestante e iniziò a correre nei primi anni ’50; fu il prototipo del pilota genio e sregolatezza. Dotato di un talento cristallino, spericolato dentro e fuori le piste, imprevedibile in gara e abilissimo sul bagnato. La sua fu una vita breve, dove conobbe successo, denaro e amore.
Luigi Musso era nato a Roma il 29 Luglio del 1924, anche lui in una ricca famiglia dell’alta borghesia. Al contrario di Castellotti, Musso aveva un carattere difficilmente decifrabile, umorale; come il lodigiano, però, amava il lusso e la bella vita. In pista era l’opposto di Castellotti, era uno stilista delle quattro ruote. La sua guida era precisa e ben si adattava alle piste più veloci con ampi curvoni; precisione massima, mai un movimento di troppo sul volante.
In pista non amava azzardare, mentre fuori dalle gare non faceva altro, tuffandosi ora nel gioco d’azzardo, ora in pericolosi investimenti.
Il 1953 è l’anno della svolta per Castellotti; viene ingaggiato dalla Lancia dopo essersi messo in luce in alcune gare minori ed è subito terzo alla Carrera Panamericana. Il 1954 è un anno di stallo; la Lancia rimanda continuamente il suo debutto in Formula 1. Castellotti e Ascari, suo compagno di squadra, devono mordere il freno, accontentandosi di sporadiche apparizioni. Il 1955 si preannuncia come un anno ricco di successi; la Lancia D50 è tra le migliori Formula 1, e la coppia Ascari-Castellotti tra le più forti. Ma le cose si mettono subito male. Al Grand Prix di Montecarlo Ascari domina, ma all’ottantunesimo giro esce di strada alla chicane e finisce in mare. Castellotti è comunque secondo.
Dopo pochi giorni, durante una seduta di prove di Castellotti a Monza con una Ferrari sport, Ascari, appena dimesso dall’ospedale, lo va a trovare.
Come è costume tra i piloti, Alberto vuole subito tornare al volante dopo l’incidente di Montecarlo. Vuole sconfiggere la paura, come chi cade da cavallo e risale subito in sella. La sessione di prove è talmente improvvisata che Ascari non ha con sé nemmeno la sua attrezzatura e se la fa prestare; un avvenimento insolito per lui che è molto supersitizioso.
Alla curva che poi prenderà il suo nome, Ascari vola fuori pista e muore. Eugenio sarà perseguitato sempre dai sensi di colpa. Colpita pesantemente, la Lancia decide per il ritiro, con la sola eccezione del G.P. del Belgio. Castellotti dà spettacolo: è l’unico a tenere il ritmo di Fangio, grazie ad una guida spericolata, fino a quando il differenziale regge. Nelle restanti gare passa alla Ferrari, e, dopo una bella serie di piazzamenti, è terzo nel mondiale.
Dal 1953 al 1955, invece, Luigi Musso è uno degli alfieri della Maserati. Con la gloriosa casa del tridente si aggiudica il campionato italiano Sport, giunge secondo alla Targa Florio, terzo alla Mille Miglia e vince il Gran Premio di Pescara. In Formula 1 il suo miglior risultato è un terzo posto in Olanda nel 1955.
Nel 1956 le strade dei due piloti si incrociano. Musso e Castellotti, che sono tanto diversi in pista quanto amici fuori, formano insieme a Fangio e Collins l’agguerrita squadra Ferrari.
Alla prima gara Musso vince, dividendo la vittoria con Fangio, mentre Castellotti ha la sua grande occasione a Reims, dove deve cedere la vittoria a Collins solo per un ordine di scuderia. A Monza i due lottano in modo forsennato per il primo posto fin dal via. Il risultato è che le gomme sono distrutte in pochi giri. Alla fine dell’anno il bottino è magro, Castellotti è sesto, Musso solo undicesimo.
Solo alla Mille Miglia Castellotti si rifà dominando sotto l’acqua e battendo tutti i piloti migliori del periodo.
Il 1957 è un anno tragico per la Ferrari. Castellotti, sempre più distratto dalla fama che gli è piovuta addosso (ha prima una storia con l’attrice Anna Maria Ferrero, poi con la soubrette Delia Scala), perde la vita durante test privati a Modena. La sera prima si trovava a una festa con la sua compagna a Firenze, quando Ferrari lo convoca improvvisamente per testare la 801. Eugenio saluta, guida tutta la notte e si mette al volante della Formula 1 senza aver chiuso occhio. Un giro, due, al terzo Castellotti non passa.
Si è schiantato contro un cartellone che pubblicizza il Circolo della biella morendo sul colpo. Aveva ventisette anni. Musso rimane molto colpito dalla morte dell’amico, si fa ancora più ombroso, ma in pista è fortissimo. Per due volte è secondo, e alla fine dell’anno si piazza terzo, battuto solo da Fangio e da Moss, e vince la Mille Miglia di Buenos Aires. In quell’anno sciagurato la Ferrari perde anche De Portago alla Mille Miglia vinta da Taruffi.
Il 1958 inizia bene per Musso; è due volte secondo e dopo Montecarlo è in testa al mondiale. Ma se in pista tutto è sotto controllo, lo stesso non si può dire per la sua passione per il gioco. Musso accumula debiti sempre più alti e, quando si presenta al via di Reims, il suo obiettivo non è solo quello di non farsi staccare da Hawthorn, ma anche quello di intascare il premio per il vincitore, il più alto della stagione. Troppa pressione, forse.
Inoltre, a quel punto della stagione è il momento di dettare le gerarchie interne alla Ferrari. Musso non può farsi battere da Hawthorn e Collins, che compongono una coppia forte e affiatata.
Il circuito di Reims si addice alla guida di Musso, lunghi rettilinei e un paio di curvoni da pennellare come lui sa fare. L’anno prima ha vinto la gara non valida per il mondiale e dopo le qualifiche è secondo solo ad Hawthorn. Luigi è forte del segreto rivelatogli dal grande Fangio; affrontando in pieno il curvone del Calvaire si può fare la differenza. Al via Hawthorn scatta avanti e Musso gli si incolla. All’ottavo giro l’inglese doppia due vetture più lente, Musso è ostacolato e perde una cinquantina di metri.
Quando arriva al Calvaire Musso tenta l’azzardo; affrontandolo in pieno è convinto di colmare il gap da Hawthorn. Narra la leggenda che Fangio abbia detto così all’italiano:
“Quando arrivo al Calvaire, guardo l’albero al lato della pista; se le foglie non si muovono vuol dire che non c’è vento e la curva si può abbordare in pieno”.
Quel giorno Musso non si accorge che le foglie si muovono; inoltre, le monoposto del ’58 sono più veloci di quelle dell’anno prima. La Ferrari vola fuori pista e Musso muore poco dopo. Stava per compiere 34 anni.
Fangio, quarto alla fine della gara, dice basta e si ritira; l’ultima gara di Musso rimarrà anche l’ultimo del grande campione argentino. Hawthorn sarà campione del mondo, beffando Moss per l’ennesima volta; il destino si accanisce però anche con lui e Collins.
Hawthorn muore in un incidente stradale appena dopo il ritiro da Campione del Mondo; Collins perde la vita al Nurburgring.
Una prima versione di questo articolo era stata pubblicata sul blog Motor Art & History.