Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

Giacomo Agostini, anche le leggende possono fallire

Giacomo Agostini, anche le leggende possono fallire

Parlare di Giacomo Agostini significa parlare di una delle più grandi leggende sportive della storia. Il suo è il nome più titolato dell’intera storia del Motomondiale; quindici Mondiali vinti e ben 123 trionfi in gare singole.

Oggi, però, vogliamo raccontarvi di come anche il personaggio più vincente nel suo campo possa andare incontro al più cocente dei fallimenti. Già, perché Giacomo Agostini, conclusa l’irripetibile carriera nelle due ruote, cercò una velleitaria seconda giovinezza nel mondo dell’automobilismo. Fu una disfatta.

Per raccontare la storia di Giacomo Agostini pilota a quattro ruote, occorre partire da lontano. Nell’inverno tra il 1966 e il 1967, quando il bresciano era già un giovane e vincente motociclista, fu convocato da Enzo Ferrari. Il Drake voleva testare tre giovani piloti: Andrea De Adamich, Ignazio Giunti e Giacomo.

La prova prevedeva alcuni giri a Modena a bordo di una Ferrari Dino 206 S Berlinetta, vettura impiegata nelle gare sport; come andarono di preciso le cose è difficile dirlo, a distanza di tanti anni. Secondo alcune fonti, Giacomo Agostini risultò il più veloce, dando prova di buone qualità anche alle prese con le auto.

Ferrari propose al giovane Mino un contratto, a condizione che il pilota si dedicasse esclusivamente a quel mondo. All’epoca le corse automobilistiche godevano di maggior prestigio e – di riflesso – i guadagni erano più consistenti; la pratica di passare dalle due alle quattro ruote era inoltre questione piuttosto diffusa. John Surtees, Jean-Pierre Beltoise e di lì a poco Mike Hailwood ne erano ottimi esempi.

La stampa dava ormai per scontata la scelta di Agostini in favore della Ferrari; sorprendendo tutti, però, Agostini preferì rimanere nella sua comfort zone e continuare con le moto.

Le conseguenze della sua decisione le conosciamo tutti. De Adamich e Giunti arrivarono presto in Formula Uno con la Ferrari, tutti e due con esiti più o meno nefasti.

Andrea De Adamich fu vittima di una serie di incidenti che ne pregiudicarono la carriera, Giunti morì nel tragico rogo di Baires nel 1971; ironicamente, proprio a causa di una manovra sconsiderata di Beltoise. Agostini probabilmente fece la cosa giusta, e i suoi leggendari successi sono qui a dimostrarlo.

Nel 1978 Giacomo Agostini ha trentasei anni, un’età improponibile per credere seriamente a una seconda carriera. Eppure, il bresciano si tuffa nell’impresa con l’entusiasmo di un ragazzo. Difficile dire cosa Giacomo si aspettasse; forse era un modo più graduale per non rinunciare improvvisamente all’adrenalina della velocità, forse un escamotage per sfruttare la propria, incredibile popolarità.

L’avventura, sostenuta dalla Marlboro come già nelle moto, parte dalla Formula 2. Allora la categoria cadetta viveva stagioni di incredibile competitività; non era raro che vi partecipassero anche piloti di Formula Uno, e il 1978 sarebbe stato l’anno del dominio di un altro italiano, Bruno Giacomelli. Agostini fa le cose per bene; acquista una competitiva Chevron B42 BMW e inizia ad allenarsi.

La vettura è competitiva, con la stessa auto Daly e Rosberg fanno faville, ma Agostini non si adatta. Troppo pulita la sua guida, troppo delicato e poco incisivo il suo stile. Giacomo Agostini pennella le curve, come faceva con la moto, è un grande stilista, ma i tempi gli danno torto. Per ben sette volte non riesce nemmeno a qualificarsi, una vera e propria Caporetto. Il migliore risultato, un misero sedicesimo posto, arriva a Hockenheim; è l’ultima gara e Giacomo guida estemporaneamente una March, con cui si trova meglio.

La delusione è grande e così gli sfottò; tutti si aspettavano grandi risultati dall’avventura a quattro ruote di Agostini. Giacomo non si perde d’animo e rivede i suoi obiettivi per l’anno successivo. Da una parte alza il tiro, acquistando due vecchie Williams di Formula Uno, dall’altro si ridimensiona. L’auto, quella che Alan Jones ha usato nel Campionato del Mondo, ridipinta con la livrea biancorossa Marlboro, viene iscritta al Campionato di Formula Aurora AFX.

La competizione è una sorta di Formula Uno britannica, dove corrono ex glorie e piloti non proprio di prima categoria.

I circuiti sono quasi tutti in Gran Bretagna e spesso sono impianti inadatti alle potenti Formula Uno. Piloti che in Formula Uno stentano a qualificarsi, come Keegan, Desiré Wilson o De Villota, in Formula Aurora vincono; a volte, addirittura, si aggiudicano il campionato.

L’idea di Agostini è di correre con una delle Williams e di affittare l’altra, per trarne anche giovamento economico. Mentre Pianta, Pardini, Micangeli, Gimax e Lella Lombardi si alternano come compagni di scuderia, Agostini può ripartire in una realtà meno impegnativa e più lontana dalla pressione dei media italiani.

La squadra si appoggia la solido team di David Price, avvalendosi anche della consulenza della Williams, la casa madre. A Snetterton, la sua quinta gara, è già secondo dietro a Rupert Keegan. A Zandvoort e Oulton Park è ancora sul podio, terzo. Si arriva a fine stagione e Giacomo Agostini appare finalmente nelle classifiche: ottavo con diciannove punti.

L’anno dopo va meglio ancora, quattro podi e due quarti posti che gli valgono il quinto piazzamento in Campionato, con ventidue punti. L’avventura di Giacomo Agostini con le quattro ruote finisce però alla fine dell’anno; il Campionato di Formula Uno britannico, dopo qualche stagione di grande popolarità, ha già perso spettatori e interesse. Dopo alcune edizioni di bassissimo profilo, chiuderà infatti i battenti.

Giacomo Agostini rinuncia al suo sogno di arrivare a correre una vera gara di Formula Uno; tuttavia, riesce per due volte a partecipare a gran premi non titolati.

Nel 1979 corre la Corsa dei Campioni di Brands Hatch e la gara di Imola. Sono due occasioni non valevoli per il Mondiale, abitudine allora diffusa, in cui però Agostini ha l’occasione di misurarsi coi piloti più forti del mondo. A Brands Hatch esce di pista, a Imola le cose vanno meglio, Giacomo è decimo davanti a Merzario.

Giacomo Agostini chiude così la sua breve seconda carriera; non ha ottenuto i risultati che in cuor suo si aspettava e che forse i tifosi pretendevano. Abituato sempre a vincere, il bresciano vive un utile bagno di umiltà e – cosa da non sottovalutare all’epoca – ne esce con le ossa tutte intere. Abbandonata l’adrenalina della velocità, Agostini aprirà una seconda vita tornando alle moto, ma in veste di team manager, con ottimi risultati.

Dopo di lui pochi proveranno il rischioso passaggio dalle moto alle auto; i tempi non sono più quelli pionieristici e le differenze tecniche troppo grandi. Per avere successo in una disciplina occorre ormai dedicarvisi anima e corpo. Damon Hill riesce a vincere il Mondiale di Formula Uno, ma la sua carriera motociclistica era stata così breve da non fare statistica; lo stesso vale per Michael Schumacher, che abbandona le velleità da centauro dopo qualche botto di troppo.

Il più vicino a concretizzare un clamoroso passaggio è Valentino Rossi, erede di Giacomo Agostini nelle moto. Rossi va vicino a procurarsi un’opportunità con la Ferrari, ma alla fine sceglie anche lui la via più sicura e rimane nel Motomondiale.

Giacomo Agostini è ancora oggi una presenza assidua alle gare di moto; con le auto le ha prese di santa ragione, ma sulle due ruote è convinto di essere stato il più forte di tutti i tempi.
I numeri gli danno ragione.

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