La storia che vi racconto oggi è quella di Renée Richards, nata Richard Raskin. Una storia ancora estremamente attuale che mischia sport e tematiche sociali; per raccontarla dobbiamo fare un viaggio nel tempo, fino alla metà degli anni Sessanta.
Casablanca, metà degli anni Sessanta
Casablanca, negli anni ’60, non era famosa solo per la bellezza esotica dei suoi vicoli e per il capolavoro di Hollywood con Humprey Bogart; la città vantava una fama all’epoca piuttosto scabrosa per la presenza della Clinic Du Parc del dottor George Burou.
Il medico francese, un ginecologo, era noto per essere un pioniere nelle operazioni di riassegnazione sessuale. Coccinelle, April Ashley e Jan Morris erano alcune delle celebrità finite sotto i ferri del medico francese. Erano tempi in cui i fautori della liberazione sessuale iniziavano timidamente a reclamare i propri diritti; del resto, basta dare uno sguardo disincantato alla situazione attuale in larga parte del mondo, per rendersi conto di come la questione desti ancora oggi scalpore, e di come alcuni diritti siano ancora piuttosto discussi anche nei paesi più civilizzati.
Proprio alla metà degli anni Sessanta, un giovane uomo alto e dall’eleganza innata, si presenta alla Clinic Du Parc: lo sguardo triste, quattromila dollari in valigia e la voglia di cambiare vita, tanto da avere già scelto il nome per la sua nuova esistenza, Renèe, ovvero rinascita. Ma l’uomo è anche un medico, un chirurgo oculista di una certa fama, e se la decisione di operarsi è giunta dopo amletiche sofferenze, le condizioni igieniche della clinica devono apparire al suo occhio competente davvero troppo scarse. L’uomo fa così un brusco dietrofront; forse inconsciamente non è ancora pronto, o forse ha visto giusto. Quell’uomo è Richard Raskin, e questa è la sua storia. O meglio, quella di Renèe Richards, la prima tennista transessuale della storia.
Richard Raskin nasce a New York il 19 agosto del 1934 da una famiglia di professionisti della buona borghesia. Il padre è ortopedico, la madre psichiatra. Richard mostra da subito grande talento nel tennis; sarà capitano della squadra di Yale e porterà avanti una discreta carriera ai margini del tennis che conta. Allo stesso tempo è capitano in Marina e, una volta congedato, si dedica con successo alla professione di oculista; è in particolare esperto nelle operazioni chirurgiche volte a curare lo strabismo.
Curiosamente è colui che ripara lo sguardo altrui, mentre di lì a poco la sua vita sarà per sempre stravolta proprio dall’essere messo sotto la lente d’ingrandimento dello sguardo di tutto il mondo.
Già, perché il buon Richard – da sempre – si sente una donna nel corpo di un uomo, e questo nonostante non sia omosessuale e coltivi anzi un certo apprezzamento per le donne, tanto da sposarsi e adottare un bambino.
Ma la decisione di quel giorno a Casablanca è solo rimandata. Quando, a metà degli anni settanta, Richard conosce un medico disposto a operarlo in condizioni di massima sicurezza, ha già quarant’anni e – nonostante un metro e 88 di altezza e il 47 di scarpe – usa vestirsi spesso da donna.
Dopo massacranti cure ormonali e l’operazione, finalmente Richard Raskin lascia il posto a Renée Richards. La decisione, in un paese all’avanguardia per certi versi ma spesso bigotto su certi temi, è allora difficilmente accettabile. E così Renée, in onore del suo nuovo nome, cambia non solo sesso ma anche vita e latitudine, spostandosi al sole della California. Continua la sua professione di oculista, con profitto, e riprende in mano la racchetta, il suo primo amore.
Sono giorni felici per Renée Richards, tra tentativi di nuove storie sentimentali, una professione che lo rende serenamente benestante e il ritorno al tennis semiprofessionale. Potrebbe essere il meritato lieto fine, per una storia tanto tormentata, ma quella donna dal corpo fuori misura, i tratti mascolini e i colpi di inusitata potenza, attira l’attenzione e i giornalisti fanno presto a scoprire il passato nascosto di Renée.
È lo scandalo. Le colleghe rifiutano di giocare i tornei dove Renée si iscrive, facendo cartello contro la sua avventura nel mondo del tennis.
Gli organizzatori degli Us Open, il più importante torneo americano e uno dei quattro del Grande Slam, gli rifiutano l’iscrizione nel 1976, mentre l’Europa le vieta addirittura la presenza in qualsiasi competizione. La spiegazione tecnica è che, essendo Renée Richards nata uomo, non supererebbe i test genetici del Comitato Olimpico, e poco importa che il tennis all’epoca non sia nemmeno presente come sport alle Olimpiadi. La preoccupazione reale delle varie federazioni e delle potenziali avversarie è un’altra, ben più assurda; temono quel che Renée Richards riassume con la definizione di floodgate theory. Si pensa che dandole il permesso di competere con le donne, si aprirebbe una sorta di cancello, e che i maschi faranno a gara per cambiare sesso e monopolizzare il circuito femminile.
“Quanto devi desiderare di diventare un campione di tennis se sei disposto a farti tagliare il pene per farcela?” – fu la presa di posizione, piuttosto ironica, di Renée. La donna, a quel punto – più per tenere il punto che altro, visto che non voleva essere certo una pioniera LGBT – si fece convincere a impugnare la decisione dell’USTA. Vinse e, oltre a partecipare agli agognati US Open nel 1977, venne adottata come paladina delle cause più disparate, da quelle LGBT a quelle dei neri o degli hippies; la donna, che più di ogni altra cosa avrebbe voluto ricominciare la sua vita nel totale anonimato, era così sulla bocca di tutti.
I tanto temuti risultati sportivi furono in realtà senza infamia né lode; Renée era probabilmente favorita dalla sua struttura fisica maschile, tuttavia aveva già superato la quarantina.
Le sue avversarie, da Chris Evert a Martina Navratilova, da Pam Shriver ad Hana Mandlikova, erano delle spumeggianti e allenatissime ventenni. A New York il suo esordio era atteso come la finale del Super Bowl, ma bastò la veterana Virginia Wade per rifilarle un sonoro 6-1 6-4. Eppure nel doppio Renée si fece rispettare, raggiungendo la finale assieme a Betty Ann Grubb, battute solo da Navratilova e Stove.
Nastase, il polemico ed estroso rumeno con cui centrò nel ’79 la semifinale di doppio misto, coi suoi soliti modi dichiarò: “Se indossa un completino da donna, perché non permetterle di giocare? Questa è la dimostrazione di quanto siano forti le tenniste: potrebbe essere loro madre, eppure si lamentano… Hanno paura!”
Nel 1981 Renée si ritira, a 47 anni, senza troppi rimpianti: “Ero migliore come medico che come tennista”. Per due anni diventa coach di Martina Navratilova, portandola a battere la storica rivale Chris Evert e a vincere due Wimbledon, e intrattenendo con l’allora cecoslovacca anche una breve relazione.
In tutto Renée Richards ottiene due finali nel circuito maggiore e si arrampica fino al N°20 del ranking, ma la temuta invasione trans non si verifica; il suo caso rimane praticamente un unicum nella storia del tennis.
Renée Richards ha ora ottantasette anni e, pur non sentendosi una pioniera e sconsigliando il cambio di sesso in un’età avanzata come la sua, non rimpiange la sua scelta. Ma forse non ritenterebbe il rientro tennistico, viste le conseguenze.
Dalla sua vicenda è stato tratto un film, Second Serve, tratto dalla prima delle sue due autobiografie, dove le presta il volto Vanessa Redgrave.
Questo articolo è stato pubblicato in origine su Auralcrave. Lo potete leggere qui.