Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

Zenobia, la regina che tiene in scacco l’Impero Romano

Zenobia, la regina che tiene in scacco l’Impero Romano

Nel bel mezzo del deserto, a Palmira, tra carovane cariche di spezie e storie esotiche, nasce Zenobia, colei che un giorno diventerà una delle peggiori spine nel fianco di Roma. Siamo attorno all’anno 240 e l’Impero Romano ha il suo meglio alle spalle, anche se è ancora di grandezza sterminata.

Di origini aramaiche ma educata a suon di greco, egiziano e latino, Zenobia cresce colta, bellissima e ambiziosa. La tipica figura che ha tutti gli ingredienti per non piacere a Roma.

Zenobia si proclama discendente di Semiramide, Didone e Cleopatra, anche se la sua linea di discendenza dovrebbe procedere a zig-zag come un ubriaco per far ridare i conti. Certa è la sua passione per l’Egitto, ma se bastasse questa dovrebbe considerare Roberto Giacobbo discendente di Tutankhamon. Per dire.

Sposa Odenato, “re dei re” di Palmira che però, per dirla all’abruzzese, non conta e non accusa, essendo una specie di fantoccio di Roma. Zenobia non ama prendere ordini da nessuno, è la tipica donna “che non sta al suo posto”, il tipo che ancora oggi manda in tilt il maschio alpha da operetta, e trama alle spalle di Odenato. In poche parole, lo fa fare secco da tale Maconio, che non si capisce bene se sia il nipote o il cugino del re.

A quel punto, essendo il figlio Vaballato minorenne, Zenobia si pone al comando. Ma anziché continuare a fare la riverenza a Roma, decide che Palmira può benissimo cavarsela da sola. Zenobia ha la testa fina e brilla per strategia. Roma è impegnatissima tra disordini interni, invasioni barbariche, imperatori che durano come le batterie dei cinesi e beghe varie. Non solo, la regina ha intuito che l’Impero è troppo grande per essere governato in modo efficace e gioca le sue carte.

Inizia a conquistare territori, con Roma che lascia fare, e alla fine si prende pure l’Egitto, storico granaio romano. Morale della favola, Zenobia non è più solo una regina del deserto: è un’imperatrice con eserciti e rotte commerciali strategiche, tanto che si proclama Augusta e fa della sua corte un vero gioiello, meta di artisti, filosofi e intellettuali d’epoca.

Roma non la prende bene, ma l’imperatore, che in quel momento è Aureliano, è costretto a riconoscere il regno indipendente di Palmira. Aureliano, però, non è il tipo da accettare di buon grado che Roma sia messa nel sacco, specie da una donna. Il regno di Palmira – intanto – cresce fin quasi ad anticipare la futura divisione dell’Impero in Occidentale e Orientale.

Aureliano, però, è a sua volta buon tattico e sa quando aspettare e quando attaccare. Sistema le beghe in casa sua, poi parte con un esercito deciso a rimettere in riga la ribelle. La guerra è dura, Zenobia resiste, ma alla fine Palmira cade. Come spesso capita, Zenobia pecca di megalomania e inizia a credere alle storie che lei stessa ha inventato su Cleopatra e tutto il resto. Tutti le consigliano di cedere a Roma, ma lei s’intestardisce e colleziona una sconfitta via l’altra.

Zenobia perde – male – a Immae ed Emesa, ma non si rassegna. Potrebbe deporre le armi senza ulteriori danni, invece trascina Palmira in un inutile assedio, rifiutando con sdegno la proposta di resa di Aureliano. Tenta la fuga su un dromedario, forse con l’intenzione di chiedere rinforzi ai Sasanidi, senza sapere che il re Sapore ha appena tirato le regali cuoia, ma viene catturata e portata a Roma.

Aureliano, che fino a quel momento è stato abbastanza ragionevole, cede all’indole di Romano virilone e conquistatore e umilia Zenobia facendola sfilare in catene d’oro nell’odiosa pratica tutta romana del Trionfo.

Che fine fa Zenobia? I finali sono due, non si sa quale sia vero. Nel primo, il più amato, la regina guerriera non si piega. Non chiede pietà, non si umilia. Aureliano, impressionato, le risparmia la vita, e lei finisce i suoi giorni in una villa romana, forse sposando un nobile. Nell’altro, più realistico, Zenobia rende l’anima dopo una breve prigionia, a trentacinque anni. Nella tomba, però, porta la soddisfazione di aver tenuto in scacco Roma per un bel pezzo.

E, all’epoca, tutto sommato non è vanto da poco.

*Il dipinto è di Herbert Schmalz, “L’ultimo sguardo della regina Zenobia su Palmira durante l’assedio romano'”.

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