Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

L’OPERATRICE DELL’OCCULTO – (“Narragenda” 2024)

L’OPERATRICE DELL’OCCULTO – (“Narragenda” 2024)

Il racconto L’operatrice dell’occulto è stato scelto per essere inserito nella raccolta Narragenda del 2024, pubblicata da Delmiglio Editore.

Il contatto gliel’aveva dato l’amica sua, Genny con la G.
Se solo sei mesi prima le avessero detto che sarebbe andata da una cartomante sai le risate. E invece, adesso stava davanti a un reticolo di targhe d’ottone o argentate o lucide come di vetro e qualcuna pure di plastica, al numero centosessanta due di una via del centro.

Avvocati e notai e osteopati e dermatologi.
Perfino un riflessologo. E poi, lei, l’operatrice dell’occulto: così si faceva chiamare, come se una spruzzata di civiltà sulla parola “ciarlatana” potesse cancellare secoli di tradizione in quel campo che mai tramonta di dare i suoi frutti. La truffa.
Erika se ne stava là davanti indecisa, non era il tipo della persona ignorante e superstiziosa, faceva pure la maestra, però un po’ a quelle cose ci credeva. Niente di che, per carità, non è che si mettesse a tracciare pentacoli sul gres della cucina o cose del genere, però leggeva sempre l’oroscopo e da piccola si faceva togliere il malocchio dalla vecchia nonna. Il mal di testa le passava sempre, non aveva mai capito se per quel rito oscuro o se per l’aspirina che la mamma le dava di nascosto dalla suocera.

Insomma, Erika decise che avrebbe aspettato un segno. Si girò verso la strada: se entro cinque macchine ne fosse passata almeno una grigia, avrebbe suonato. Non aveva ancora iniziato la conta – una pratica a cui si affidava spesso per prendere decisioni antipatiche – che il campanello trillò e dalla porta uscì un signore col tipico impermeabile da esibizionista. Erika scordò la conta delle macchine grigie e si infilò nell’androne del palazzo. Lei il suo Filippo lo rivoleva, era stanca di bere una tisana la sera e andare a dormire senza dormire. La maga: non ci credeva poi tanto ma che male poteva farle?

“L’ignoranza fa sempre del male!” le tornavano in mente le parole che diceva sempre la madre, ma quella, lo sapevano tutti, esagerava col suo accidente di pensiero razionale.

Erika fece i tre piani a piedi e arrivò all’appartamento leggermente trafelata. Poco male, non c’era nessuno. La sala d’attesa pareva quella del dentista, due file di sedie, qualche rivista e l’ansia che calava all’istante come una cappa che potevi quasi vedere. C’erano perfino i soliti diplomini incorniciati alle pareti. Manco il tempo di dire la tabellina dell’otto e la porta sputò dentro un altro cliente.

Un uomo calvo, dall’aspetto amichevole e la pancia prominente, vestito di un nero trasandato. Iniziò a giocherellare con lo smartphone, poi le attaccò chiacchiera. Erika, come tutte le persone afflitte da una pena opprimente, non vedeva l’ora di raccontare i cavoli suoi a qualcuno e così fece. Quello la incoraggiava: “Vedrai, – le diceva carezzevole – Monika mi ha risolto tanti di quei problemi…” e intanto continuava a chattare con chissà chi.

Qualche minuto e la porta si aprì da sola: “Erika, – disse una voce dall’interno – vieni pure!” La donna si alzò, un po’ nervosa ma per niente impressionata, ed entrò. L’operatrice dell’occulto era una ragazzotta sui trentacinque, col viso tondo e bei lineamenti sottili; il trucco era appena più pesante dell’usuale, ma per il resto la donna avrebbe potuto tranquillamente essere la tabaccaia giù all’angolo o la commessa dell’Eurospin.

“Io sono qui per…” attaccò Erika, ma quella le fece cenno con la mano di aspettare.
“Tu soffri da sei mesi! Vuoi tornare col tuo uomo e hai ragione. Siamo angeli caduti con una sola ala, per volare dobbiamo stare insieme!” gettò la testa all’indietro, mostrando la sclera degli occhi e denti bianchi e aguzzi: “E voi siete insieme da quando eravate ragazzi!”

Erika cedette all’istante: senza sospettare nessun possibile raggiro decise che avrebbe seguito i consigli della maga. O dell’operatrice dell’occulto. Ci vollero dieci minuti: Erika uscì dallo studio più leggera nel cuore e nel portafogli, veleggiò biascicando un “arrivederci” all’uomo in sala d’attesa e volò per le scale: era serena, finalmente.

L’uomo chiuse la porta dell’appartamento e si affacciò nello studio di Monika: “A questa che le hai detto di fare? Di seppellire un gallo a Parco Sempione?”
“Bah, povero galletto! – fece l’operatrice, passandosi il rossetto nero davanti allo specchio magico – Qualcosa di molto meno eclatante, solo tenere una candela nera accesa per tutta la notte nell’armadio, davanti al letto del suo amato. Le vendono al Todis a uno e novantanove.”

Erika tornò a casa quasi felice.
Fece come le era stato detto, accese la candela e – finalmente – riuscì a dormire.
La mattina dopo i Vigili del Fuoco la trovarono ancora raccolta in posizione fetale. Pareva uno di quegli osceni calchi che aveva visto una volta con Filippo, in un documentario su Pompei ed Ercolano.

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