Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

“LA LATTAIA”, DENTRO IL CAPOLAVORO DI JAN VERMEER

“LA LATTAIA”, DENTRO IL CAPOLAVORO DI JAN VERMEER

Il dipinto che vi propongo oggi è il mio preferito del grande Jan Vermeer, “La Lattaia”.

Come sapete, il Vostro è un esecrabile scrittore di racconti, e forse la cosa che tanto mi piace di Vermeer è proprio il fatto che da ogni sua opera sembra prendere l’avvio una storia che ognuno di noi, davanti alle sue tele, può immaginare. Oppure capita che Jan ci precipiti nel bel mezzo di una storia, come quando ci porta nell’intimità di una donna che riceve una lettera rimanendo sorpresa.

La nostra bella e robusta lattaia, per esempio. per chi sta versando quel latte? Davvero, come sembra, quella sua occupazione così quotidiana e apparentemente insignificante ha per lei una qualche valenza quasi sacra, come pare suggerire la sua quieta concentrazione?

Nonostante Vermeer venga oggi considerato uno dei più sublimi maestri dell’arte occidentale, in vita non ebbe grandi riconoscimenti, pur riuscendo sempre a mantenersi come pittore, tanto che alla morte lasciò più debiti che denaro.

Qualcuno ha descritto i dipinti di Vermeer come “nature morte con esseri umani” e la definizione pare quanto mai azzeccata. In Vermeer c’è una sorta di immobilità dinamica, quasi che le figure venissero cristallizzate nell’attimo a cui il pittore dona l’immortalità.

C’è sempre un piccolo segreto, un mistero, nei quadri di Jan. Una delle spiegazioni della strabiliante tecnica di Vermeer, i cui dipinti sono quasi sempre di piccole dimensioni, l’ha avanzata David Hockney, grande pittore inglese.

Secondo l’artista, Vermeer – così come altri pittori dell’epoca – faceva uso della camera ottica. Ciò gli permetteva di “ricalcare” le figure e gli oggetti perfettamente e di studiare le luci, quelle luci così vivide da sembrare reali. Una tecnica che ancora oggi si usa nell’iperrealismo.

Snobbato dai contemporanei e dimenticato per secoli dai posteri, Vermeer viene riscoperto nell’Ottocento e molto amato da grandi intellettuali come Proust, che riteneva la sua “Veduta di Delft” il più bel quadro del mondo.

Osserviamo meglio “La Lattaia”.
La donna, vestita con una scelta cromatica che ricorda molto l’ancora più celebre “Ragazza col turbante” (o con l’orecchino di perla, se preferite), è un capolavoro delle atmosfere tipiche di Vermeer. I colori non sono staccati tra loro, sembrano fondersi tra loro con un’armonia che supera quella della realtà.

Molti hanno voluto rinvenire nell’opera delle metafore, e così lo scaldino poggiato a terra sembra alludere al calore di un sentimento familiare, confermato forse dai minuscoli amorini dipinti nelle meravigliose piastrelle. Il pane pare ancora caldo e croccante, come il recipiente e la brocca paiono brillare delle luci che entrano dalla finestra.

Merito di una delle invenzioni di Vermeer, quei puntini luminosi che danno all’immagine una lucentezza unica. Li vedete? Ingrandite l’immagine: che meraviglia!

L’umiltà della scena è rivelata da quello che vediamo ma anche da quello che manca. Mi spiego meglio. Il muro un po’ macchiato, quel chiodo solingo che se ne sta infisso senza senso, la finestra semplice e con un vetrino rotto. Ma anche nella cartina geografica che, in un pentimento dell’ultima ora, Vermeer ha cancellato, forse perché proprio in contrasto con la dignitosa povertà dell’ambiente.

La lattaia è però l’indiscussa protagonista, con la sua presenza incredibilmente realistica eppure lirica, la sua concentrazione che rende sacro un gesto così semplice.

Ma anche nel comunicare il silenzio, quel silenzio che Vermeer – caso unico – è così bravo nel rendere sulla tela. Come disse il grande critico Federico Zeri:

“La sua è una forma di intimismo che coinvolge anche l’osservatore, che riguarda non solo le immagini, ma anche la nostra capacità di lettura. È un pittore misterioso che presenta sempre qualcosa di estremamente silenzioso, una sorta di velo di silenzio dato dalla luce. Un pittore nel quale ogni generazione scoprirà sempre qualcosa di nuovo”.

Il dipinto, già apprezzato dai coevi, tanto che fu venduto per 175 fiorini pochi anni dopo la scomparsa di Vermeer, venne acquistato nientemeno che per decisione del Parlamento dallo stato olandese, nel 1907. Oggi è conservato nel Rijksmuseum di Amsterdam.

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