Il mondo della formula 1 è forse il più competitivo in assoluto, nulla di strano quindi che le vicende più note siano quelle dei vincenti. E più si vince, più le storie diventano grandi e degne di stare nella leggenda. Di lato, però, paralleli, corrono racconti meno importanti; storie di perdenti e di fallimenti. Spesso dense di sentimenti, colpi di scena e azione quanto e più di quelle dei campioni. Cosa manca allora a queste gesta per avere pari dignità di quelle più note? Spesso, semplicemente, qualcuno che le racconti.
Oggi abbiamo scelto di raccontarvi la storia di Andrea De Cesaris.
Prologo
Spa-Francorchamps, 25 agosto, 1991
Il Grand Prix del Belgio, ogni anno, è l’appuntamento più atteso dagli appassionati e dai piloti di formula 1. I punti che si assegnano al vincitore sono sempre dieci, eppure una vittoria sul tracciato belga è di quelle che valgono l’intera carriera. Spa-Francorchamps, per la pericolosità e la varietà delle sue curve è la pista più tecnica e pericolosa. L’Università della formula 1.
Spesso la pioggia che quasi sempre cade a Spa, rimanendo sospesa tra gli alberi della foresta delle Ardenne, rende ancora più proibitive le condizioni di gara. Non questa volta però; il 25 agosto del 1991 a Spa c’è un sole mai visto, e fa caldo. Al quarantunesimo giro – 3 dalla fine – c’è un pilota che lotta aggrappato al volante di una monoposto verde che si trova in seconda posizione.
Davanti c’è solo Ayrton Senna. La Mclaren del campionissimo si fa sempre più grande giro dopo giro, sempre più vicina. Il pilota brasiliano ha un problema al cambio che gli impedisce di tenere l’andatura che gli sarebbe propria e quella macchina verde, un giro dopo l’altro, lo sta mettendo nel mirino.
Al volante della macchina verde c’è Andrea De Cesaris, un pilota che da undici anni si danna l’anima, rosicchiando i bordi delle grandi storie, quelle dei campioni acclamati.
Senza aver mai vinto una gara. Andrea rema sui lunghissimi rettilinei di Spa, dove il poco potente motore Ford non gli permette di tenere il passo di Senna; sembra quasi abbassare la testa per essere più veloce, poi, nelle curve, si getta a capofitto per colmare il gap.
Madido di sudore forse ripensa a quel ragazzo, romano de Roma, che ha iniziato a correre vent’anni prima, ragazzino.
Parma, 1977. Mondiali di karting
Andrea De Cesaris ha appena diciotto anni; è stato un enfant prodige dei kart e, prima di passare alle categorie superiori, si gioca l’ultimo mondiale. È tutto cuore e agonismo, Andrea. Già lo conoscono per questo. Corre sempre al di là delle possibilità del mezzo, per questo è sempre il più veloce. E per questo sbaglia tanto.
Fa parte della razza dei piloti di cuore, dei Nuvolari e dei Villeneuve, dei Brambilla; di quelli che non vincono tanto alla distanza, concentrati come sono a volere vincere a ogni metro.
Li riconosci dall’espressione quando scendono dalla macchina, quel sorriso del ragazzino che gioca, si sporca e si sbuccia le ginocchia finché ne ha. Finché c’è luce, senza pensare alle botte che prenderà dalla mamma. Andrea ha la faccia scanzonata e a un tempo tragica della Roma di Pasolini. E una serie di tic impressionanti, che spesso gli fanno rovesciare gli occhi all’indietro completamente.
È l’ultimo giro e Andrea è quarto, un buon risultato che, ovviamente, non gli basta; tenta un sorpasso assurdo, impossibile, vuole almeno salire sul podio. Finisce altrettanto ovviamente fuori pista. Sorridente e con un pugno di mosche in mano.
Il romano, però, ha le spalle coperte. Suo padre è un grossista di tabacco, con le conoscenze giuste nel giro del più grande colosso delle sigarette, quelle bianche e rosse che sponsorizzano la McLaren e l’Alfa Romeo. E così Andrea brucia le tappe; nel ’77 e nel ’78 corre nella Formula 3 inglese.
Manco a dirlo è il più veloce, ma sciupa quasi sempre tutto e il campionato lo vince un grigio mestierante del volante, Chico Serra. Nel 1980 passa in Formula 2, è subito velocissimo ma vince solo una gara. Poco importa, Andrea ha in mente la Formula 1 e a fine anno debutta, sempre in livrea da tabaccaio biancorosso, con l’Alfa. Sostituisce Vittorio Brambilla, acciaccato e a fine carriera, uno che come lui ha sempre corso con tanto cuore e poco altro.
Al debutto in Canada, su una pista che gli sarà sempre cara, stupisce tutti per la velocità, e l’anno dopo viene ingaggiato dalla Mclaren.
Spa-Francorchamps, 25 agosto 1991
Andrea De Cesaris spinge la sua macchina verde, la Jordan, su per il Radillion, la curva più pericolosa della formula 1. Le scintille della Mclaren di Senna sono paurosamente vicine, un altro giro e potrà attaccarla. Cosa starà pensando il romano, nell’inferno bollente dell’abitacolo, le mani piagate dalla leva del cambio e gli occhi puntati sul retrotreno della Mclaren?
Forse al 1981 e a quel soprannome, De Crasheris, che gli aveva affibbiato la stampa inglese. Andrea aveva distrutto un numero imprecisato di telai nell’impossibile impresa di andare più veloce del compagno di squadra, quella vecchia volpe irlandese di John Watson; o forse alla stessa curva otto anni prima, quando era ancora all’Alfa.
Spa-Francorchamps, 22 maggio 1983
Nel 1983 la Formula 1, dopo oltre un decennio, torna a correre a Spa. Finalmente l’Alfa Romeo ha il motore turbo, e De Cesaris in prova la mette in terza posizione. L’anno prima, col vecchio dodici cilindri aspirato, Andrea si è fatto valere. A Long Beach è in pole position, ad appena 22 anni, e in gara cede solo a Niki Lauda, prima che i freni si rompano mandandolo a muro. In Belgio è secondo e in rimonta, quando si rompe il semiasse; nessuno se ne accorge, il giorno prima, in prova, è morto Villeneuve.
A Montecarlo, dopo una gara degna della roulette cittadina, Andrea è primo all’ultimo giro; affronta la curva del Casinò, ancora un paio di chilometri e la vittoria sarà sua, quando finisce la benzina. In Canada è terzo, dopo un’altra gara tragica in cui muore Riccardo Paletti e che si conclude quasi al buio; niente, rimane di nuovo a secco.
Ma finalmente a Spa, quel 22 maggio, Andrea pare non avere rivali; parte come un fulmine e alla prima curva è già primo. Domina in lungo e in largo, con tanto di giro veloce, fino al rifornimento. Qualcosa si inceppa e si ritrova quarto; spinge come un matto, non può e non vuole accontentarsi e come risultato rompe il motore Alfa. L’ennesimo.
Da lì in poi inizia, come in ogni buona storia, anche in quelle sghembe come questa, la discesa agli inferi dell’eroe. De Cesaris si trascina da una squadra all’altra, sempre col miraggio mai raggiunto di una chiamata in Ferrari. Sono team blasonati, ma Andrea approda sempre nell’anno sbagliato. Ligier, Brabham, ma anche Minardi, Rial e Dallara.
Andrea matura, è veloce ma ora anche concreto, senza che nessuno se ne accorga. È il pilota dell’ultima spiaggia, lo chiamano quando la monoposto è così debole che solo lui, buttando il cuore oltre l’ostacolo, riesce a cavarne qualcosa. Il 1991 pare l’anno dell’addio; De Cesaris non riesce a trovare un ingaggio, quando quelli delle sigarette fanno l’ultimo miracolo piazzandolo in una squadra esordiente, messa insieme da Eddie Jordan.
La monoposto, verde e filante, sembra uscita da un film di fantascienza; troppo bella per essere anche veloce, dicono. Jordan è un oscuro ex pilota – battuto sonoramente in pista da De Cesaris ai tempi della formula 3 – coi contatti giusti e con tre parrucchini di lunghezza variabile.
L’inizio è disastroso, poi le cose ingranano e Andrea coglie una serie di piazzamenti imprevedibili.
A Silverstone i bookmakers lo danno tra i favoriti; Andrea De Cesaris, come sempre emotivo, si incasina e combina un guaio dopo l’altro, fino a stamparsi sul muro in gara; si è rotta una sospensione mentre prende una curva in pieno. E siamo a Spa.
Spa-Francorchamps, 25 agosto 1991
A oltre 300 Km/h De Cesaris abborda le curve di Les Combes, con Senna ormai a un tiro di fionda. Finalmente è il giorno buono.
E in effetti quel giorno entrerà nella storia della Formula 1, non per la sua gara però. Il 25 agosto del 1991, proprio con la Jordan gemella, ha esordito Michael Schumacher. Il tedesco ha preso il posto di Gachot, dopo che il belga è stato arrestato per una lite con un tassista, a Londra. E Schumacher si presenta da par suo.
Sulla pista più difficile del circus, rifila a De Cesaris sette decimi. Andrea studia la telemetria, non ci sta, prova a prendere in pieno il Radillion, ma alla fine deve arrendersi. Quel tedesco è un giovane mostro.
Tuttavia è inesperto, e la domenica alla partenza, nell’ansia di far bene brucia la frizione; dopo poche centinaia di metri è già fuori. De Cesaris è libero di prendersi – finalmente – la sua giornata di gloria. Uno a uno, dopo aver risparmiato le gomme all’inizio, supera tutti; Modena, Patrese, Piquet, il romano è in giornata di grazia.
Manca solo Senna.
Una cosa non sa Andrea De Cesaris, e non la sanno manco in Jordan. La Ford, proprio quel giorno, ha voluto provare un nuovo tipo di pistone. Non si capisce se dia vantaggi in pista, di sicuro consuma più olio di una friggitrice del McDonald’s il sabato sera.
Mancano tre giri e De Cesaris si sente la vittoria in tasca; finalmente può mettere a tacere chi ancora lo ricorda per il soprannome De Crasheris; i marchi d’infamia, si sa, sono duri a morire. Finalmente potrà lasciare il club di Chris Amon, Jean Pierre Jarier, Derek Warwick, Bruno Giacomelli e Jean Behra, quei piloti universalmente riconosciuti tra i più veloci ma che non hanno mai vinto una gara.
E invece l’olio finisce e il pistone si blocca; grippa, in gergo tecnico. De Cesaris accosta e scende, sotto l’occhio impietoso delle telecamere. Non riesce nemmeno a piangere, forse è consapevole del suo destino. Il destino di una vicenda umana e sportiva che deve rimanere sghemba, di lato, senza attraversare la storia manco una volta.
Roma, GRA, 5 ottobre 2014, epilogo
È una domenica pomeriggio d’autunno come tante altre; per gli appassionati di Formula 1 solo un po’ più triste, infatti quando in Italia è l’alba si è corso il Gran Premio del Giappone e l’astro nascente Jules Bianchi è rimasto gravemente ferito in un terribile incidente sotto il fortunale che si era abbattuto su Suzuka. Morirà qualche mese dopo.
Sul Grande Raccordo Anulare c’è una coda interminabile all’altezza dell’uscita per Bufalotta. Non dipende da qualche centro commerciale, c’è stato un incidente. Una Suzuki 600 si è schiantata inspiegabilmente contro le protezioni è il pilota è morto sul colpo. È Andrea De Cesaris, che conclude a 55 anni la sua parabola terrena, baciata dalla fortuna se vista in un senso ampio – non tutti arrivano a correre per 15 anni in formula 1 – ma in qualche modo maledetta in senso sportivo.
Da quel giorno di agosto a Spa è tutto cambiato. Nonostante le prestazioni, Eddie Jordan – quasi in bancarotta – è costretto a non confermarlo per motivi di sponsor. Andrea ripara prima in Tyrrell, correndo ancora una bella stagione nel 1992, e poi in Sauber, dove chiude la carriera. In mezzo una parentesi di due gare nel ’94 di nuovo in Jordan, per sostituire Barrichello, impreziosita da un quarto posto in uno dei suoi circuiti feticcio, Montecarlo. Affastella 214 gare senza averne vinta una, l’unico suo record.
De Cesaris dice basta; all’adrenalina si è sostituita l’abitudine. L’ambiente si è troppo trasformato da quello goliardico degli anni giovanili; più semplicemente, forse, De Cesaris è invecchiato ed è ora di dire basta. Andrea lo fa senza tornare indietro.
Il suo talento – riconosciuto da tutti – per far andare più velocemente possibile qualsiasi cosa si muova, scalpita sempre. Mentre si improvvisa spericolato investitore, si dedica al motocross e, soprattutto, al windsurf. Talmente grande è la passione che compra casa alle Hawaii, e almeno l’ultima stagione della vita sembra sorridergli.
È bello immaginarlo sulle bianche spiagge tropicali, affrontare i cavalloni per puro diletto, con una serenità tale da appianare finalmente il suo volto sempre teso e far sparire i proverbiali tic.
Fino a quella maledetta domenica di ottobre.
C’è un cliché narrativo diffusissimo nella letteratura di genere; è quello dell’eroe che muore prima di completare la sua parabola ed è condannato a vagare come un fantasma finché qualcuno non gli dia pace.
Ecco, l’antieroe De Cesaris pare fatto apposta per immaginarlo mentre ancora insegue la sua vittoria in un Grand Prix. Magari, raccontando la sua storia affinché non vada perduta, inghiottita dalle tante vicende dei campioni, Dei bellissimi e giustamente arroganti, la sua anima potrà avere un po’ di pace.
Questo articolo è stato pubblicato in origine su Auralcrave. Lo trovate a questo link.