“Quando non ci si sente di diventare un fuoriclasse è meglio ritirarsi in buon ordine e non continuare inutilmente. Non ho più la fede indispensabile per riuscire in questo mestiere, la paura ha finito per vincermi.”
(Johnny Servoz-Gavin)
Siamo nel maggio del 1970 e con queste parole si conclude un’accorata lettera che il pilota francese Johnny Servoz-Gavin indirizza alla Matra e a Ken Tyrrell.
Sono le parole con cui Johnny dice addio alla Formula Uno e alle competizioni automobilistiche.
La Formula Uno a cavallo tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70 era un mondo molto diverso da quello di oggi, ma anche da ciò che era stato agli albori; il professionismo si andava affermando soprattutto con personaggi come Jackie Stewart. Tuttavia l’alone di leggenda che faceva apparire i piloti come moderni cavalieri del rischio era ancora ben presente.
Nonostante i grandi passi avanti della tecnologia, lo sport automobilistico era ancora molto rischioso; solo tra il 1968 e il 1970 – per dire – avevano perso la vita in incidenti Jim Clark, Mike Spence, Jo Schlesser, Lodovico Scarfiotti, Lucien Bianchi, Moises Solana e Gerhard Mitter; nei mesi successivi alla lettera di Servoz-Gavin sarebbero scomparsi Bruce Mclaren, Piers Courage, Jochen Rindt e Ignazio Giunti.
Decisamente un duro prezzo da pagare alla passione per le corse; ciononostante, erano in tanti a opporsi al nuovo corso voluto da Jackie Stewart e alle sue battaglie per la sicurezza: “La gente ci considera dei gladiatori, – disse lo scozzese all’indomani della morte di Rindt – è ora di finirla”.
Chi pretendeva circuiti e auto più sicuri era spesso preso in caricatura dagli appassionati; non solo, a volte gli stessi colleghi erano ansiosi di tener fede all’immagine eroica delle corse e di mantenere lo status quo in uno degli ambienti più reazionari del periodo.
Pensate che effetto potesse fare l’annuncio di Servoz-Gavin, gaudente giovane promessa sulla cresta dell’onda, che si permetteva il coraggio di avere paura.
Ma chi era Georges-Francis Servoz-Gavin, detto Johnny?
Nell’ambiente delle competizioni, Johnny faceva parte della schiera dei piloti playboy, della stessa pasta di quel James Hunt che qualche anno dopo avrebbe ispirato film e leggende col suo stile di vita. O di Cevert, celebre come pilota ma anche per il suo flirt con Brigitte Bardot. E come Hunt e Cevert, anche Johnny – al di là dell’aspetto bohemienne, lunghi capelli biondi e sigaretta in bocca – col volante ci sapeva fare.
Johnny Servoz-Gavin era nato a Grenoble il 18 gennaio del 1942 e, dopo un iniziale innamoramento per lo sci alpino, sport di cui fu anche maestro, iniziò a sentire il richiamo delle corse. Rimasero leggendarie le sue scorribande per le strade di Grenoble con una Simca Oceane e poi con una Dauphine Gordini, sempre alla ricerca del limite, per poi passare alle competizioni vere e proprie nei rally.
In questa categoria, da sempre simbolo di guida istintiva e innato coraggio, Johnny dimostrò le sue qualità, prima di essere notato da André Simon, ex pilota di buon livello, il cui apprezzamento gli valse un posto ufficiale alla Citroen.
Ma Johnny era un tipo che si stancava facilmente, e la sua smania di cambiamento lo fece avvicinare alle corse su pista. Secondo al celebre Volante Shell, sorta di talent da dove venivano fuori i nuovi alfieri della scuola francese come Francois Cevert e Patrick Depailler, si dedicò alla Formula 3, trionfando nel 1966.
Iniziò così il suo rapporto con la Matra, allora principale casa automobilistica francese tra quelle che si dedicavano alle competizioni. Dopo un estemporaneo debutto in Formula Uno a Montecarlo, nel 1967, l’anno dopo arrivò per Johnny l’occasione della vita.
Siamo ancora a Montecarlo, è il 26 maggio del 1968; il pilota ufficiale della Matra – la squadra gestita da Ken Tyrrell, una delle più forti – Jackie Stewart è infortunato al polso e, dietro anche le insistenze dello sponsor francese Elf, a sostituirlo viene chiamato proprio Johnny Servoz-Gavin.
Il giovane è una delle promesse francesi: ha appena vinto il campionato di Formula 3 e ha un carattere aperto, incline alla spericolatezza e alla smargiassata; tuttavia ha corso una sola gara nella massima formula.
E quella gara, per un guasto all’alimentazione, è durata meno di un giro.
Sul difficilissimo tracciato di Montecarlo, l’approccio di Johnny è subito quello giusto; in prova stacca il secondo tempo. Davanti a lui solo il veterano della gara del Principato, Graham Hill.
Al semaforo verde, con l’irruenza del debuttante ma anche con la freddezza del campione, Johnny Servoz-Gavin scatta in testa; per tre giri non ha rivali, pare quasi galleggiare tra le curve del toboga monegasco. Poi commette lo stesso errore che solo un anno prima è costato la vita a Lorenzo Bandini; alla variante del porto calcola male la distanza dal guardrail, questione di millimetri, una ruota tocca e il semiasse si rompe.
Johnny sosterrà sempre di non aver urtato nulla, fatto sta che la sua cavalcata in testa alla gara finisce dopo appena tre giri; la sua classe, tuttavia, non è passata inosservata tra gli addetti ai lavori e, cosa da non sottovalutare, l’errore che a Bandini costò la vita a lui causa solo un innocuo ritiro.
Quello stesso anno la Matra riesce a fargli correre le ultime tre gare;, a Monza, Johnny la ripaga con un fantastico secondo posto, con tanto di beffa in volata al più esperto Jacky Ickx.
Sono tempi in cui i piloti sono abituati a correre in ogni fine settimana e in tutte le categorie, e nel 1969 Johnny preferisce dedicarsi alla Formula 2. La sua scelta viene premiata: vince tre gare e si laurea campione della categoria. In Formula Uno corre solo qualche gara, sempre con la Matra, giungendo sesto in Canada.
Corre anche con le vetture sport, allora di pari importanza della Formula Uno, ottenendo buoni risultati ma venendo sempre frenato da una serie di guasti e contrattempi sul più bello.
Il 1970 pare presentarsi come l’anno della consacrazione per Servoz-Gavin: Ken Tyrrell ha rotto con la Matra e, in attesa di schierare vetture di sua costruzione, utilizza i competitivi telai March.
A ventotto anni Johnny si ritrova nella squadra più forte, a fianco di Stewart e Amon.
Qualcosa però ha cominciato ad andare storto, già dalla fine del 1969; Johnny inizia a essere più prudente, i circuiti americani dove si usa concludere la stagione gli paiono troppo pericolosi.
All’inizio del 1970 poi, mentre corre come suo costume in un rally invernale, ha un incidente; nulla di troppo grave, pare all’inizio, però il ramo di un albero gli lambisce un occhio, procurandogli una lesione. Il francese minimizza, ma l’occhio non migliora e c’è bisogno di una snervante terapia per cui deve rimanere al buio per varie settimane.
Quando torna in pista le sensazioni della vista non sono perfette, come era stato per il grande Moss anni prima. Stirling aveva smesso subito, Servoz-Gavin decide di continuare a provarci.
Nelle prime gare è sempre attardato rispetto ai compagni: in Sudafrica Stewart e Amon monopolizzano la prima fila, Johnny è solo diciassettesimo. In Spagna va un po’ meglio e il giovane si piazza quinto, raccogliendo i suoi ultimi punti; all’inizio della gara un terribile incidente tra Ickx e Oliver – che sono proprio davanti a lui – provoca un incendio in cui non rimane coinvolto per un pelo.
Le vetture bruciano per decine di minuti – cosa impensabile oggi – mentre i piloti continuano a sfrecciare passando quasi attraverso le fiamme per giri e giri. I conduttori sono illesi, ma il colpo sulla psiche provata di Johnny Servoz-Gavin è forse decisivo.
Quasi un mese dopo si corre a Montecarlo, teatro del suo debutto, della sua occasione sprecata e della sua ultima apparizione.
Tempo dopo Johnny ammetterà che già la semplice ricognizione a piedi del tracciato – abitudine diffusa tra i piloti – lo aveva spaventato a morte. Nelle qualificazioni ci prova lo stesso ma proprio non va: Stewart e Amon sono di nuovo in prima fila, lui non riesce a ottenere un tempo buono per qualificarsi.
Il pomeriggio stesso, durante un party a bordo di uno yacht, Johnny Servoz-Gavin annuncia il proprio ritiro da ogni competizione; conoscendo il suo carattere da buontempone, nessuno gli dà retta. Johnny, tuttavia, è serissimo, tanto che non tornerà mai più su quella decisione.
La sua seconda vita dopo l’automobilismo, iniziata ad appena ventotto anni, sarà altrettanto sfortunata e avventurosa; il suo grande amore per il mare lo porterà a costruire una casa galleggiante, ma l’esplosione di una bombola di gas nel 1982, quando ha quarant’anni, gli porterà le conseguenze che aveva schivato abbandonando le corse: gravissime lesioni e il volto sfigurato.
Dopo un’esistenza travagliata, tra lusso e bella vita, ma anche ospedali e salute malferma, Johnny Servoz-Gavin si arrenderà nel 2006, a sessantaquattro anni, dopo tre infarti e una fatale embolia polmonare.
Oggi pochi appassionati lo ricordano, eppure fu uno dei pochi – in un’epoca e in un ambiente che imponeva il rischio come stile di vita – a rivendicare il coraggio di avere paura.
Questo articolo è stato pubblicato in origine su Auralcrave. Lo potete trovare qui.