Il buongiorno si vede dal mattino è uno di quei vecchi modi di dire sempreverdi; nel caso di Tatum O’Neil le cose sarebbero dovute andare benissimo, a giudicare dall’inizio. E invece.
A soli 10 anni Tatum O’Neil è la più giovane vincitrice del premio Oscar. Miglior attrice non protagonista per la sua interpretazione in Paper Moon. Il film, diretto da Peter Bogdanovich, vede Tatum recitare a fianco del padre, l’ingombrante super-divo dell’epoca Ryan O’Neil.
La storia è quella di una ragazzina e di un piccolo truffatore, girovaghi nel Kansas della Grande Depressione; il tutto reso con un espressivo bianco e nero perfettamente pertinente all’epoca in cui la storia è ambientata. Il destino dei bambini prodigio, tuttavia, non sempre è all’altezza delle premesse. Anzi.
L’enfant prodige è particolarmente diffuso al cinema e nello sport. Un tempo era ancora più facile osservare ragazzi giovanissimi sui campi di gara, dal tennis alla ginnastica artistica; ora, per fortuna, il rispetto per l’età più verde e tante norme su misura hanno fatto sì che questo fenomeno sia andato quasi scomparendo.
L’evoluzione del bambino prodigio potrebbe essere riassunta da alcune vicende emblematiche. Il caso virtuoso, come quello di Jodie Foster, che peraltro interpretò lo stesso ruolo di Tatum O’Neil in una serie televisiva di scarso successo. Jodie esordisce bambina nel mondo della pubblicità ed è ancora un’adolescente quando lavora nel celebre Taxi Driver. La sua prostituta ragazzina è uno dei personaggi più scioccanti del capolavoro di Scorsese.
Lungi dal farsi destabilizzare da tanto precoce successo, Jodie azzecca un colpo dopo l’altro, da attrice e regista. Tuttora è una star mondiale dai compensi milionari e di grande influenza.
Drew Barrymore è invece un caso di successo, caduta e redenzione. La bambina prodigio di E.T. l’Extraterrestre di Spielberg, proviene da una storica stirpe di attori, attiva fin dai tempi del muto. Il grande successo da ragazzina fa da preludio a un triste seguito fatto di alcolismo, droghe e dipendenze varie, da cui la brava Drew si risolleva con grande forza.
E siamo alla nostra Tatum O’Neil. La sua parabola di bambina prodigio prevede tanti fuochi d’artificio ma nessun lieto fine.
Attiva in televisione fin dalla più tenera età, Tatum conosce il divismo già tra le pareti di casa. Il padre Ryan è il divo bello e biondo di Love Story e di tanti altri film.
Quando Tatum O’Neil recita col padre in Paper Moon è già una piccola professionista; il padre, invece, è all’apice del successo. Poco tempo dopo reciterà per Stanley Kubrick in Barry Lyndon; proprio questo film, che doveva essere la sua consacrazione, pregiudica la sua carriera. I tempi di lavorazione lunghissimi, il discusso montaggio di Kubrick e una recitazione non proprio cristallina, costano a Ryan parte della fama.
Non solo, Tatum ricorderà che per girare il kolossal il padre rimane lontano dalla famiglia in pratica per due anni. La mamma della O’Neil è anch’essa un’attrice; Joanne Moore è una giovane di belle speranze, ma la sua carriera si perde tra film di serie B e dipendenze di vario genere. Ryan è un padre narcisista, secondo Tatum O’Neil, poco presente e che pensa solo alla carriera. L’allora bambina assiste ai vorticosi cambi di relazione del papà e alle sue dipendenze.
Il successo di Paper Moon – peraltro – non prelude a una carriera scintillante. Tatum O’Neil continua a lavorare in molte produzioni, senza tuttavia bissare mai il consenso del film di debutto. Quando l’attrice è giovane, bella, ma già quasi dimenticata, la nuova ondata di popolarità le arriva dalla vita privata.
Tatum si sposa con John McEnroe, altro ragazzo prodigio, ma del tennis. John è forse il più grande talento che si sia mai visto nel suo sport, sicuramente è quello col carattere più bizzoso.
Le sue magie sotto rete e le sue vittorie a ripetizione fanno innamorare il pubblico e ritirare Borg; le sue follie in campo, le liti con arbitri e supervisori, fanno capire a tutti che dietro al genio si nasconde un carattere impossibile.
John McEnroe è così anche nella vita di tutti i giorni; il matrimonio che pare a tutti perfetto, unione di due giovanissimi talenti belli e impossibili, coronato dalla nascita di tre figli, naufraga in pochi anni. I tabloid parlano di liti leggendarie, di violenze e dipendenze assortite; cosa c’è di vero non si sa, quello che è certo è che – dopo un’estenuante battaglia legale – i figli vengono assegnati a SuperMac.
Tatum O’Neil è evidentemente segnata dal successo precoce e dalla presenza egotica e ingombrante del padre; la sua istintiva ricerca per personalità egocentriche e forse disturbate e che l’aveva portata a essere una delle prime fidanzate di Michael Jackson, ne è forse la prova. Gli anni Novanta e inizio Duemila, quando Tatum O’Neil è ancora un’attrice giovane e bella, passano cercando di ritrovare il bandolo della matassa.
Ma c’è poco da fare. Qualche ruolo secondario in film e serie TV, un’autobiografia in cui accusa un po’ tutto e tutti. Infine, l’arresto per droga nel 2008. L’episodio, avvenuto a Manhattan, pare uscito da una di quelle serie dove si arrabatta in ruoli di piccolo cabotaggio. I poliziotti la beccano con le mani nel sacco, mentre acquista droga dal suo pusher, e lei si difende dicendo che sta preparando la parte di una tossicodipendente per un film.
Non le crede nessuno, purtroppo per lei. Forse è vero, chi non impara dai propri errori e condannato a ripeterli.
E così, in un giorno di luglio del 2014, nell’East Village di New York, un ragazzo viene arrestato perché sta acquistando morfina da uno spacciatore. Quel ragazzo è Kevin McEnroe, figlio di Tatum O’Neil e John McEnroe.
Oggi Tatum è una donna di cinquantotto anni, bella anche se dal fascino un po’ artefatto. Quest’anno ha recitato in Not to Forget, un film che mira a sensibilizzare il pubblico riguardo all’Alzheimer; con lei recitano altri premi Oscar.
La storia di Tatum O’Neil è una di quelle senza lieto fine, ma anche di quelle che possono portare molti insegnamenti.