Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

Dracula, il Messico e Melford: un film da riscoprire

Dracula, il Messico e Melford: un film da riscoprire

Dracula è il vampiro per eccellenza e forse l’archetipo più conosciuto nell’ambito della narrazione del terrore; della sua figura sappiamo tutto, dalle vicissitudini del romanzo di Bram Stoker ai pochi punti di contatto con la figura storica reale; dalle leggende sorte attorno a Bela Lugosi ai motivi che portarono a ribattezzarlo Nosferatou nella celebre versione di Murnau.

E ancora delle sue mille incarnazioni di celluloide, da quelle targate Hammer degli anni ’60 alla versione lussureggiante di Coppola, fino a quelle più discutibili del flop di Dario Argento e della produzione Netflix di poco tempo fa.

Eppure c’è una storia piuttosto gustosa e non troppo nota che gravita ancora attorno al nome del conte assetato di sangue; una storia per cui ci dobbiamo spostare nel tempo e nello spazio.

Siamo a Hollywood, nel 1931; se potessimo tornare indietro nel tempo e appostarci negli studios, assisteremmo a un curioso cambio della guardia.

Sul set del celebre Dracula di Tod Browning, quello con Bela Lugosi e il suo impeccabile completo mantellato, per intenderci; alla fine della giornata di riprese il posto di troupe, maestranze, comparse e attori è preso da un manipolo di uomini, per lo più dall’accento ispanico, che si affaccendano tra le sontuose scenografie.

Per capire cosa sta succedendo, occorre fare una premessa; il cinema esisteva già da qualche decennio e – anche se costa uno sforzo per immaginarlo – l’industria che vi ruotava attorno lavorava già a pieno regime, probabilmente molto più di oggi. Tuttavia era epoca di innovazioni molto più profonde di quelle cui siamo avvezzi, essendo ancora per così dire agli albori della tecnologia.

Il cinema muto, che l’aveva fatta da padrone fin dagli inizi, stava lentamente venendo soppiantato dal sonoro. Questo passaggio risultò tutt’altro che indolore, soprattutto per un motivo che forse non è così intuitivo. La tecnologia che permette il doppiaggio non era ancora stata messa a punto, e lo sarà solo due anni dopo, nel 1933, e se fino ad allora distribuire un film muto in tutto il mondo era stato un gioco da ragazzi, ora la questione si era fatta più complessa.

Cosa se ne sarebbero fatti mercati importantissimi come quelli di lingua spagnola e tedesca di un film recitato in inglese? Tanto più che allora le persone che conoscevano più di una lingua erano molte meno di quello che potremmo immaginare.

La soluzione a questo problema in apparenza semplice era incredibilmente macchinosa, più che complessa; spesso si decideva di girare in parallelo più versioni dello stesso film recitate in lingue diverse. In quel 1931 il personaggio di Dracula veniva da una piece di Broadway di incredibile successo, interpretata proprio da Bela Lugosi; il giovane produttore Carl Laemmle Jr. pensò che ciò che permetteva di guadagnare quattrini a Broadway ne avrebbe fatti incassare ancora di più al cinema, e stanziò un cospicuo budget per realizzare un film. Il regista fu indicato in Tod Browning, quanto di meglio si poteva scegliere allora, mentre il cast – dopo parecchie titubanze e la morte della star Lon Chaney, inizialmente scelto per la parte di Dracula – venne mutuato dalla versione teatrale.

Bela Lugosi, il leggendario attore mitteleuropeo, in quel momento sta sprofondando in una dipendenza da antidolorifici, di cui abusa a causa di una vecchia ferita di guerra. Proprio le bizzarre abitudini che va prendendo a causa della tossicodipendenza sono alla base di tutte le dicerie che lo vogliono fin troppo avvezzo ad abitudini vampiresche.

Per la versione del film destinata ai mercati spagnoli, il cast tecnico e degli attori viene completamente ripensato. La regia va a George Melford, regista e attore dal sicuro mestiere che in carriera realizzerà centinaia di film; la parte del conte succhiasangue è appannaggio di Carlos Villarias; Mina – che nella versione spagnola diventa Eva – è interpretata dalla giovane Lupita Tovar.

La troupe ufficiale, con vasti mezzi a disposizione e attori di grido, gira di giorno, mentre i loro succedanei per così dire di serie b, entrano in scena quando i primi hanno terminato, quasi sempre in piena notte.

Melford, che è mestierante solido e con le idee ben chiare in fatto di stile, si trova davanti a pochi pro e tanti contro. Il tempo e il budget a sua disposizione sono notevolmente ridotti e il cast fa acqua da tutte le parti; tuttavia il buon George ha il vantaggio di entrare in scena a giornata conclusa, potendo così visionare il girato di Browning e farsi un’idea precisa di cosa vada bene e cosa no, dal suo punto di vista. Il fatto di girare di notte aggiunge quel giusto quid di suggestione e, in più, la giovane Lupita sfoggia una sensualità forse maggiore nei panni della ragazza traviata dal vampiro rispetto alla Mina di Helen Chandler.

La pellicola di Melford risulta così molto più moderna e quasi sperimentale, rispetto a quella classica e un po’ ingessata di Browning. Basta vedere qualche sequenza per rendersi conto delle differenze: laddove la macchina da presa di Tod risulta statica, Melford opta per lunghe carrellate e per movimenti di macchina avventurosi per l’epoca. Purtroppo i difetti rispetto al Dracula più classico sono ancora più evidenti. La recitazione di Villarias è stucchevole e a tratti involontariamente comica; in alcuni passaggi che dovrebbero risultare terrificanti, Carlos strappa al contrario più di una risata. Così anche i passaggi aggiunti da Melford, che allungano l’intreccio di mezz’ora senza aggiungervi nulla di nuovo.

Il film di Tod Browning è un incredibile successo di pubblico, tanto che ancora oggi l’iconografia vampiresca deve molto al Dracula di Bela Lugosi; il gemello povero viene invece condannato a un lento oblio, tanto che per lunghi anni si pensa che tutte le copie siano andate distrutte. Destino comune a molte delle versioni in lingua dei classici americani; una volta esaurito il loro compito commerciale, il più delle volte le pellicole venivano fatte sparire per mere esigenze di spazio.

Questo fino agli anni settanta, quando degli archeologi del cinema recuperano alcuni rulli che contengono la versione integrale del film.

Un po’ per la bizzarria della vicenda, un po’ per l’entusiasmo del ritrovamento e in parte per l’effettiva qualità del film, si torna a parlare del Dracula gemello, perduto e ritrovato. Alcuni critici arrivano addirittura a preferirlo alla versione più ricca e di successo, che nel frattempo è invecchiata e nemmeno troppo bene, a differenza del fratello povero rimasto nella capsula del tempo e della nostalgia.

La pellicola di Melford vanta sicuramente alcuni tratti di modernità maggiore, sebbene alla fine i difetti siano talmente preponderanti da far prevalere comunque il kolossal di Browning.

Ma – per una volta – è bello pensare che il piccolo Davide ritrovato possa sconfiggere il Golia della superproduzione.

Questo articolo è stato pubblicato in origine per Auralcrave. Lo trovate qui.

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