Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

Andrea Moda, il peggior team della storia

Andrea Moda, il peggior team della storia

Qualche volta da presupposti che parrebbero fallimentari nascono storie di grandi successi. Le altre volte – quasi sempre, a dirla tutta – a premesse nefaste seguono disastri veri e propri, come nella storia dell’Andrea Moda.

Spa-Francorchamps, 28 agosto 1992

Nella Formula Uno del 1992, il venerdì è dedicato alle qualifiche: al mattino le prove libere, al pomeriggio quelle valide per lo schieramento. Il sabato si replica.
Tra le prime vetture a scendere in pista ce n’è una nera come un carro funebre, l’Andrea Moda. A pilotarla un inglese di trentuno anni, Perry McCarthy, un vero oggetto misterioso.

Talmente misterioso che – narra la leggenda – un giorno, chiamando la sede della squadra, pare si fosse sentito rispondere dalla segretaria: Perry chi?
McCarthy non è certo un fulmine di guerra, ma un solido professionista sì; esibisce un casco simile quasi del tutto a quello dell’iconico Gilles Villeneuve. Nelle formule minori non ha fatto faville, ma si è difeso degnamente.

Perry ne ha passate di tutti i colori, durante l’annata, ma ora appare più sereno. La FIA, la Federazione che gestisce la Formula Uno, ha appena fatto una bella tirata d’orecchi ad Andrea Sassetti, improvvisato condottiero della squadra. La motivazione non vanta precedenti nella massima formula: la FIA ha imposto a Sassetti di gestire in modo più professionale anche la seconda vettura del team, quella di McCarthy, per l’appunto.

Perry McCarthy spinge a mano l’Andrea Moda: farà più chilometri così che al volante

La scia di nefandezze di cui la squadra si è macchiata verso il malcapitato Perry è lunga e fantasiosa. Ma prima di elencarle, riannodiamo i fili della narrazione: da dove spuntano Andrea Sassetti e l’Andrea Moda?

Sassetti – nel 1992 – è un giovane imprenditore marchigiano, nemmeno trent’anni.
Già allora divide l’opinione pubblica delle sue parti: per alcuni è un imprenditore rampante che si è fatto da solo, nonostante le umili origini; per altri è un mezzo scapestrato, con agganci nella malavita.

Figlio di contadini, ha creato una florida industria calzaturiera e porta avanti la tipica esistenza a metà tra il playboy e il vitellone di felliniana memoria. Pare che la grana per aprire la fabbrica arrivi da una fortunata partita di poker; altri, a mezza bocca, parlano di origini ancora più losche.

L’idea di Andrea è quella di sponsorizzare una squadra, per far parlare ancora più di sé. La scelta – con la lungimiranza tipica del personaggio – cade sulla Coloni.
La squadra dell’ex pilota Paolo è reduce da una stagione disastrosa, nemmeno una qualificazione e il clamoroso fallimento del motore Subaru, buono sì e no per un motoscafo. Coloni è stufo e dice basta.

Potrebbe finire così, e sarebbe la cosa migliore, dopotutto.

E invece no: sono gli anni in cui la Benetton, partita come sponsor di Tyrrell e Toleman, ha acquistato quest’ultimo fin dal 1985 e sta portando avanti una proficua attività come team. Nel 1994-95 arriveranno addirittura due titoli mondiali con Michael Schumacher al volante e Flavio Briatore come burattinaio. Proprio Briatore pare essere il nume tutelare, l’ideale a cui aspira il giovane Sassetti. Un po’ imprenditore e un po’ cialtrone, un po’ playboy e un po’ giocatore d’azzardo. Sempre con un piede nella legalità e l’altro fuori dai regolamenti, Flavio è un Andrea Sassetti che ce l’ha fatta. E allora il protagonista di questa storia – o disfatta, fate voi – ci prova: rileva licenza e materiale da Paolo Coloni, compra una fornitura di motori Judd V10 e si lancia nell’avventura della Formula Uno.
Manco fosse Michael Vaillant.

I piloti ingaggiati sono Alex Caffi ed Enrico Bertaggia.
Se il secondo la Formula Uno fino ad allora l’ha vista col binocolo, il primo solo tre anni prima era la next big thing del circus; poi si era perso per strada, tra scelte sbagliate e qualche incidente di troppo. Caffi sceglie l’Andrea Moda per rilanciarsi, ma le cose andranno diversamente.

Alla prima gara, in Sudafrica, iniziano i tragicomici guai.
La Federazione pretende i 100mila dollari che i nuovi team sono tenuti a versare; Sassetti è sicuro del fatto suo: ha rilevato la Coloni, quindi la tassa non è tenuto a pagarla. Peccato che le regole le faccia la FIA, risultato: alla squadra viene impedito l’accesso in pista e al giovedì team, meccanici e piloti sono già sulla via di casa.

Un’altra tegola è la proprietà intellettuale.
Alle squadre non è permesso utilizzare materiale progettato da altri, come vorrebbe fare l’improvvisato patron Sassetti. L’istrionico imprenditore tira allora fuori l’ennesimo coniglio dal cilindro; come sempre, è un coniglio piuttosto malconcio.
Contatta la Simtek di Nick Wirth, che due anni prima aveva progettato una Formula Uno per conto della BMW. Non se ne era poi fatto più nulla, ma il vecchio progetto torna buono per l’Andrea Moda.

Roberto Moreno e la fortunosa qualificazione a Montecarlo

Intanto è il momento del Gran Premio del Messico.
Stavolta non ci sono impedimenti e piloti e meccanici sono pronti ai box, scalpitanti.
Mancano solo – davvero un peccato – le monoposto: per una serie di grotteschi problemi logistici non arrivano in tempo al circuito. Caffi e Bertaggia capiscono presto che ci stanno solo rimettendo la reputazione e si chiamano fuori.

Poco male: Sassetti non è uomo da perdersi d’animo o accusare il colpo. Tutti sono utili, nessuno è insostituibile.
Eccetto lui, ovvio.
Arrivano due piloti nuovi di zecca, più o meno.

Uno è Roberto Moreno, brasiliano buono per tutte le stagioni. Moreno ha corso con qualsiasi macchina, dal triciclo alla Formula Uno, dove ha esordito dieci anni prima.
Nel ’90 lo chiamano alla Benetton per sostituire Nannini, vittima di un incidente d’elicottero: alla prima gara è secondo e lo confermano per l’anno dopo. Se la cava bene, ma quando Briatore mette le mani su Schumacher non ci pensa due volte a buttarlo fuori.

L’altro è Perry McCarthy, il vero eroe della storia.

Perry viene ingaggiato anche se non ha ancora la superlicenza, senza cui in Formula Uno non si corre. Quando Sassetti lo scopre – evidentemente al colloquio si era dimenticato di chiederlo – va su tutte le furie. In Brasile – con la macchina nuova – McCarthy non può quindi girare, mentre Moreno rimane prudentemente a diciotto secondi dall’ultimo dei qualificati.

Nel frattempo, Bertaggia ci ripensa, Dio sa perché, e torna con i denari di uno sponsor. Sassetti non ci pensa due volte: con la S dei dollari al posto degli occhi lo vorrebbe riprendere, buttando a mare il povero McCarthy. Peccato che i regolamenti – che paiono fatti apposta per svantaggiarlo, Dio santo! – permettano solo due cambi di pilota.
Sassetti deve quindi tenersi Perry e, nonostante il pilota sia incolpevole di tutto, gliela giura. Soldi per due monoposto non ce ne sono, e da allora McCarthy collezionerà una serie di disavventure degne dell’Armata Brancaleone.

La maggior parte delle volte il povero Perry non riuscirà nemmeno a uscire dai box, tra motori che esplodono prima di arrivare in pista o che manco si avviano.

Quando gira prende almeno venti secondi dagli altri, con una vettura che stenterebbe nei derby ippici.
In Canada arrivano le monoposto ma a perdersi stavolta sono i motori, a testimonianza di una logistica sui generis. In Francia c’è lo sciopero dei camionisti, peccato che l’Andrea Moda sia l’unica squadra a non trovare una soluzione, visto che tutti gli altri sono al via.

A corto di personale qualificato, il buon Sassetti – sempre secondo la leggenda – porta sulle piste parte dei lavoratori del calzaturificio.

A Silverstone il vero capolavoro, il colpo di teatro che vale il prezzo del biglietto.

Perry McCarthy gioca in casa e vuole fare bella figura: lo mandano in pista con un fiammante treno di gomme da bagnato. Peccato che nella piovosa Inghilterra quel giorno splenda un sole come non s’era mai visto.

Col solo acuto di Moreno che riesce a qualificarsi nella roulette di Montecarlo, buon ultimo e per fare solo undici giri, si arriva alla giornata di Spa.
Dopo la reprimenda della FIA, McCarthy è sicuro finalmente di poter girare dignitosamente. Gli danno una monoposto con il telaio che flette come un chewing gum.
All’Eau Rouge, la curva più pericolosa e veloce del Mondiale, lo sterzo si blocca e Perry vede la vita passargli davanti, ma si salva per miracolo.

Ai box si vocifera che in squadra sapessero già di quel guasto.
La misura è colma e Perry torna imbufalito ai box, ben deciso a farla grossa.
Non fa in tempo: Sassetti è stato appena arrestato per frode fiscale e false fatturazioni.
A quel punto anche la FIA rompe gli indugi e l’Andrea Moda viene squalificata con una motivazione creata per l’occasione, aver danneggiato la reputazione dello sport.

A Monza la squadra prova a presentarsi comunque ma non c’è più trippa per gatti. La storia dell’Andrea Moda finisce così.
Non la discutibile leggenda del suo patron, però.
Tra night club e ristorazione, accuse di frodi fiscali e clamorose smentite, Sassetti trova sempre modo di far parlare di sé.

Secondo alcune versioni, una S921 è sopravvissuta e lo stesso Andrea Sassetti si diverte a portarla in pista di tanto in tanto a Misano.

La storia dell’Andrea Moda, negli anni, è diventata tra gli appassionati una vera e propria leggenda. Paradigma di una Formula Uno che non esiste più – per fortuna – la squadra ha portato alle estreme conseguenze le storie di quelle piccole realtà che si sono affacciate alla massima categoria senza averne i mezzi.

Per assurdo, il ben noto effetto nostalgia, un vero e proprio bias cognitivo, fa sì che molti appassionati considerino la storia quasi un episodio di eroismo. Posizione sicuramente discutibile, a dir poco.

Un piccolo lieto fine però lo possiamo trovare, assieme a Perry McCarthy.
Già, che fine ha fatto il povero pilota assurto a barzelletta vivente a causa del trattamento ingiustamente subito? Dopo aver corso a Le Mans e aver fatto il collaudatore per Benetton e Williams, McCarthy è diventato noto per essere stato The Stig nelle prime due stagioni di Top Gear, programma celeberrimo in Gran Bretagna.

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