La disciplina di Penelope è il nuovo romanzo di Gianrico Carofiglio. L’autore barese, da quando ha deciso di dedicarsi esclusivamente alla scrittura, è sempre più prolifico.
Il libro, uscito per la collana gialla Mondadori, segue il godibilissimo saggio Della gentilezza e del coraggio. Breviario di politica e altre cose, uscito lo scorso anno. E proprio alcuni dei concetti approfonditi da Carofiglio in questo saggio vengono utilizzati anche nelle indagini condotte da Penelope Spada.
Penelope Spada è la grande novità dell’universo narrativo di Carofiglio. Finalmente lo scrittore dà vita a una protagonista femminile, lui da sempre attento alla tematica. E si avventura a darle la voce in prima persona.
La storia è ambientata a Milano, dai tempi di Scerbanenco ideale scenografia per le storie noir all’italiana. Penelope è un personaggio che fin dalle prime pagine si caratterizza pesantemente come spirito libero e fuori dagli schemi, quasi a scioccare il lettore.
Penelope è però anche una donna avvolta da fumose vicende legate al passato, portatrice dell’umanità dolente tipica di chi tanto ha sbagliato perché tanto ha fatto, e che tuttavia non rinuncia ad aprirsi alla vita, con le dovute cautele.
Molti dei misteri di Penelope vengono accennati, lasciati sullo sfondo, quasi a far intendere l’intenzione di dare una serialità a questo nuovo personaggio.
La donna – scopriamo nelle sottotrame del romanzo – è un ex Pubblico Ministero; a un certo punto, qualcosa nella sua carriera e nella sua vita deve essere andato storto, e la donna ha finito per pagare le colpe sue e di altri.
Penelope è una bella donna, atletica e affascinante, anche se piena di abitudini discutibili riguardo la sua salute; fuma come un turco, beve come un pesce e non si fa problemi a mischiare alcol e psicofarmaci. C’è da far impallidire schiere di bigotti, moralisti e benpensanti. Per questo l’ho presa immediatamente in simpatia.
La protagonista de La disciplina di Penelope ricorda molto la Dottoressa Sara, personaggio appena tratteggiato del racconto La velocità dell’angelo, tratto dall’antologia Cocaina. Una donna forte e indipendente, intelligente ma con un tratto autolesionista che favorisce moti d’empatia nei suoi confronti.
La trama la vede indagare su un caso di femminicidio, archiviato dagli inquirenti per mancanza di piste da seguire.
Penelope, da quando ha smesso inopinatamente i panni di Pubblico Ministero, si dedica infatti a piccole indagini private. Un’investigatrice tanto competente quanto scalcinata, che ha la saletta privata di un bar come ufficio e priva anche della licenza; caratteristiche che paiono quasi strizzare l’occhio al geniale detective Contrera di Christian Frascella.
A ingaggiare la donna è il vedovo della vittima, unico sospettato del delitto; l’uomo vuole giustizia, o più semplicemente scrollarsi di dosso la triste aura di unico sospettato. Con arguzia e pazienza – il nome Penelope scelto da Carofiglio non è casuale – la detective riesce a fiutare una pista tralasciata in precedenza, legata alla presenza di un misterioso cane bianco.
Il romanzo si legge in breve tempo, per l’esigua durata ma anche per lo stile sempre più scorrevole di Carofiglio; caratteristica che da sempre lo contraddistingue. Le frequenti – fin troppo? – citazioni e il disvelamento dei meccanismi investigativi sono tra i grandi punti di forza. Carofiglio ha spesso vissuto in prima persona indagini simili, e la differenza rispetto ad altri autori costituisce un vantaggio ben evidente.
Le descrizioni degli ambienti e soprattutto dei personaggi sono di prima qualità; poche parole per tratteggiare anche i caratteri minori, tra poliziotti disillusi ma fedeli e delinquenti di piccolo cabotaggio. L’intreccio è semplice – nulla a che vedere coi macchinosi thriller da cui siamo invasi – ma sostanzialmente senza punti deboli.
Le dolenti note, a mio avviso, sono marginali e – a mio avviso – a carico proprio dei personaggi femminili. Penelope è una sorta di Guerrieri – altro caposaldo di Carofiglio – al femminile; ma non inganni questa definizione: Penelope è molto mascolina, probabilmente più dello stesso avvocato protagonista della saga di Guerrieri.
Ed è proprio la mascolinità, a volte quasi tossica, di alcuni personaggi femminili a non convincere sempre; pare quasi che le donne per risultare forti debbano ereditare alcuni comportamenti discutibilmente maschili, addirittura amplificandoli. Questo però volendo dare una connotazione quasi sociologica al romanzo, che non è detto fosse lo scopo di Carofiglio.