Andrea La Rovere

Ci sono storie bellissime ma sconosciute, fino a quando qualcuno non le racconta

Fred Vargas e il suo Adamsberg, “spalatore di nuvole”

Fred Vargas e il suo Adamsberg, “spalatore di nuvole”

“𝗕𝗶𝘀𝗼𝗴𝗻𝗮 𝗽𝗲𝗻𝘀𝗮𝗿𝗰𝗶 𝘀𝘂 𝘀𝗲𝘁𝘁𝗲 𝘃𝗼𝗹𝘁𝗲 𝗽𝗿𝗶𝗺𝗮 𝗱𝗶 𝗮𝗴𝗶𝗿𝗲, 𝗻𝗼𝗻 𝗱𝗶 𝗺𝗲𝗻𝗼, 𝗮𝗹𝘁𝗿𝗶𝗺𝗲𝗻𝘁𝗶 𝗳𝗮𝗶 𝗾𝘂𝗮𝗹𝗰𝗵𝗲 𝘀𝘁𝘂𝗽𝗶𝗱𝗮𝗴𝗴𝗶𝗻𝗲, 𝗺𝗮 𝘀𝗼𝗽𝗿𝗮𝘁𝘁𝘂𝘁𝘁𝗼 𝗻𝗼𝗻 𝗱𝗶 𝗽𝗶𝘂̀, 𝗮𝗹𝘁𝗿𝗶𝗺𝗲𝗻𝘁𝗶 𝗰𝗼𝗺𝗶𝗻𝗰𝗶 𝗮 𝗴𝗶𝗿𝗮𝗿𝗲 𝗶𝗻 𝘁𝗼𝗻𝗱𝗼. 𝗘 𝗮 𝗳𝘂𝗿𝗶𝗮 𝗱𝗶 𝗴𝗶𝗿𝗮𝗿𝗲 𝗶𝗻 𝘁𝗼𝗻𝗱𝗼 𝗮𝗳𝗳𝗼𝗻𝗱𝗶 𝗻𝗲𝗹𝗹𝗮 𝘁𝗲𝗿𝗿𝗮 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝘂𝗻𝗮 𝘃𝗶𝘁𝗲. 𝗘 𝗱𝗼𝗽𝗼 𝗻𝗼𝗻 𝗰’𝗲̀ 𝗽𝗶𝘂̀ 𝘃𝗲𝗿𝘀𝗼 𝗱𝗶 𝗺𝘂𝗼𝘃𝗲𝗿𝘁𝗶.”

Alcuni hanno scritto che Fred Vargas ha inventato il giallo poetico e, effettivamente, il Commissario Adamsberg, lo spalatore di nuvole, la sua creatura prediletta, è un poeta.

E, come i poeti, nelle sue indagini prende sempre la strada più tortuosa, quella più difficile. La strada più lunga.
Misteriosamente – come i poeti, quelli veri – giunge sempre per primo.

Fred Vargas in realtà si chiama Frédérique Audouin-Rouzeau, e ora capirete perché si sia messa uno pseudonimo; che almeno il nome entri sulla costa del libro è una buona regola.

Oltre che polemista nata – ma qui le polemiche le lasciamo da parte – è autrice del ciclo di Adamsberg e di quello dei tre Evangelisti; cicli che finiscono per incrociarsi più volte, sullo sfondo di una Parigi a metà tra il surrealismo di Boris Vian e atmosfere gotiche e medievali che rievocano tutti gli archetipi del racconto del terrore.

Vargas fa della poesia surreale l’arma di Adamsberg, ma – in una ininterrotta lotta tra razionalità e inconscio – gioca continuamente a smontare il carattere del protagonista con disincanto:

“Quando la poesia compare inaspettatamente nella vita, siamo stupiti, siamo incantati, ma poco dopo ci rendiamo conto che siamo stati presi per i fondelli, che era un pacco, una fregatura.”

Tutto ha una spiegazione: Fred Vargas è figlia di una scienziata (una chimica) e di uno scrittore surrealista e – con ogni evidenza – si dibatte tra queste due origini. Come spesso accade, le origini danno luogo a uno splendido caos di creatività e contraddizioni.

Surreale è anche il metodo di scrittura di Vargas, che lavora come ricercatrice medievista. Durante il suo impiego annusa la storia giusta e prende nota; durante le ferie, tira giù la bozza che perfeziona tra le vacanze di Natale e quelle di Pasqua.
Per l’estate il romanzo è pronto.

Et voilà, e che ci vuole?

L’autrice Fred Vargas

Oltre a Adamsberg, indiscusso solista, la sua squadra è composta da una serie di personaggi incredibilmente strutturati. Più che una equipe investigativa, paiono i componenti di un complessino jazz.

C’è Danglard, comandante dalla cultura onnisciente ma spesso ottuso nella realtà e – a volte – vera anima nera di Adamsberg.
L’incredibile Retancourt, donna imponente e dura fino alla violenza, ma dallo spirito protettivo e materno infallibile.

C’è un figlio adulto che compare in modo disarticolato a un certo punto, presenza straniante a cui il padre non fa altro che rubare le sigarette.

C’è il vicino di casa Lucio, spagnolo senza un braccio spesso risolutivo per le inusitate intuizioni del Commissario. L’uomo era stato punto da un ragno prima che gli amputassero l’arto, e continua a ripetere che il braccio continua a prudergli: non aveva finito di grattarsi. Da qui il suo monito a non lasciare le cose in sospeso.

E poi una schiera di caratteristi fenomenali, che mettono in luce un altro grande talento dell’autrice, quello di pescare i nomi giusti.
Ed ecco così Voisenet e la fragile Froissy, il duro Kernokian e Mordent e tanti altri.

Le indagini vedono quasi sempre al centro un serial killer, un folle che terrorizza Parigi o le lande dove Adamsberg si trova, di tanto in tanto, in trasferta. Non è mai un assassino banale, e di sangue se ne vede pochissimo; c’è sempre un qualcosa di oscuro, ancestrale e archetipico a muovere la mano dell’omicida.

Ora le tradizioni norrene – in Tempi Glaciali – ora la leggenda del lupo mannaro, come nello splendido L’uomo a rovescio.

In Parti in fretta e non tornare si evoca lo spettro della peste nera, con pagine sull’isteria da epidemia quantomai attuali. In Un luogo incerto si rievoca la leggenda del Cimitero di Highgate; ne La cavalcata dei morti quella della caccia selvaggia.

Il morso della reclusa prende spunto dalle recluse, barbara usanza religiosa medievale ma nemmeno poi tanto.

Lo stile narrativo è ondivago nella successione degli eventi, non sempre guidata da spirito razionale e da spiegazioni attendibilissime. cosa che fa storcere un po’ il naso ai puristi del thriller.

Lo stile letterario è ricercato, guidato dalla musicalità del testo ma non privo di trovate gergali modernissime; notevole, in alcuni casi, l’uso spregiudicato di un linguaggio schiettamente scurrile.

L’analisi psicologica è approfondita e illuminante; lo spirito che anima Adamsberg è a volte quello di una giustizia vista con occhi personali, spesso lontana da quella ufficiale delle aule giudiziarie.

Infine, Adamsberg sembra avere un’altra ispirazione più o meno dichiarata; coi suoi modi incerti e zoppicanti, il suo approccio alle questioni mai frontale, sempre per vie laterali, il suo presentarsi senza cura e con un falso basso profilo, tutto lo riporta a una sorta di Tenente Colombo meno astuto e più poetico.

Un’altra volta parleremo del ciclo dei tre Evangelisti o “tre Storici, anche quello notevole.

Per ora, se siete appassionati di leggende terrificanti, di psicologia, di poesia o di Medioevo – o magari di tutte le cose assieme – Fred Vargas è l’autrice che fa per voi; Adamsberg è il personaggio che odierete e amerete in egual misura.

L’outsider per eccellenza, l’uomo che sta di lato per antonomasia.

“Certe cose si impelagano per un sacco di pessimi motivi e non le puoi disimpelagare, nemmeno per un sacco di buoni motivi.”

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