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Non so se capiti anche a voi, ma qualche personaggio dello sport, dell’arte, del cinema, sono talmente abituato a conoscerlo virtualmente che a un certo punto pare quasi uno di casa.
Ecco, Clay Regazzoni per me era uno di casa, e quasi non ci credevo, il 15 dicembre del 2006, quando si seppe della sua morte.
Al volante, come lo era stato per tutta la vita.
Clay l’avevo conosciuto da ragazzino, ma in un’altra veste, quella del commentatore tecnico delle gare di Formula Uno.
Quelle domeniche estive, nella canicola della controra, con le voci di Mario Poltronieri e Clay Regazzoni che parevano arrivare da un citofono collocato sul fondo di un pozzo: era quasi impossibile non addormentarsi ascoltando quella nenia cantilenante.
Clay era un commentatore di una competenza stratosferica, sempre avanti un passo su quello che succedeva, ma per me, ragazzino, era quasi uno zio che sentivo ogni domenica.
Non fatevi ingannare, le corse di quell’epoca erano di una noia bestiale, in confronto a quelle di oggi: chi se le ricorda come una etΓ dell’oro perfetta confonde solo il ricordo con la nostalgia della gioventΓΉ, ma Clay ci metteva del suo per renderle piΓΉ comprensibili, e spesso ci riusciva.
Pilota generoso e amante della bella vita, come spesso accade, era feroce critico di correva come aveva fatto lui.
La sua storia Γ¨ la tipica storia del Secondo Dopoguerra: aveva iniziato come carrozziere e alle corse si era affacciato solo a 24 anni: un’etΓ in cui oggi i piloti hanno un codazzo di manager, mental coach, portaborse e uffici stampa di decine di persone.
Era talmente bravo che per passare dalla carrozzeria dello zio alla Formula Uno, ci mise pochi anni.
Nel ’70 esordΓ¬ come giovane promessa, anche se di anni ne aveva 31, con la Ferrari: solo otto gare su tredici ma giΓ terzo in campionato, con la vittoria a Monza, nel tragico weekend in cui moriva Rindt.
La sua parabola fu la tipica del “what if”, del “se solo avesse…”: nel ’74 poteva vincere il mondiale, ma nessuno credette abbastanza in lui, risultato: secondo per soli tre punti dietro Fittipaldi.
Il computer Lauda, tutto il suo opposto, gli fece le scarpe in quattro e quattr’otto: eppure in Ferrari ce lo aveva portato Clay.
A quarant’anni si ricordΓ² di Clay Regazzoni Frank Williams, un altro che sarebbe finito in carrozzella come lui; Clay lo ripagΓ² con la prima vittoria e il quinto posto in campionato, Frank preferendogli Reutemann, quasi inspiegabilmente.
Il buon Frank avrebbe avuto modo di pentirsene amaramente solo due anni dopo, perdendo il Mondiale per le liti tra Reutemann e Jones.
A quel punto Clay avrebbe potuto smettere, dedicarsi a tennis, bella vita e a godersi la fortuna accumulata.
Clay, perΓ², non era un pilota a tempo perso: anche Enzo Ferrari prendeva le sue belle cantonate.
Clay era un pilota di cuore, forse troppo.
RicominciΓ² a quarantuno anni con la Ensign, la squadra piΓΉ sfigata.
Quando alla quarta gara, a Long Beach, gli si ruppero i freni, Clay era quarto, una posizione mai vista dagli uomini dell’Ensign.
Oggi un incidente del genere gli sarebbe costata una bella delusione, ma sarebbe sceso salutando il pubblico; lanciandogli i guanti, magari.
Allora, nel 1980, gli costΓ² la spina dorsale: da quel giorno Clay non camminΓ² piΓΉ, ma non si rassegnΓ².
ContinuΓ² a frequentare le piste, col suo sorriso sincero sotto i baffoni, facendo il commentatore e battendosi per i paraplegici.
Si fece costruire dei comandi speciali e riprese a correre nei rally e nella regolaritΓ , e a insegnare la guida sicura.
A fine carriera Clay Regazzoni conta la partecipazione a 139 Gran Premi, vincendone cinque. Altrettante sono le pole position, a cui vanno aggiunti ben quindi giri veloci in gara.
Nel 1970 vince anche il Campionato di Formula 2.
Partecipa a tutte le gare piΓΉ classiche, dalla 24 Ore di Le Mans alla 500 Miglia di Indianapolis.
Clay non vinse mai il Mondiale, ma la sua vita Γ¨ stata d’esempio molto piΓΉ di quella di tanti che vinsero piΓΉ di lui.
[Il disegno Γ¨ mio, Caran d’Ache su carta per le fotocopie.]