𝑨𝒏𝒄𝒉𝒆 𝒍’𝒖𝒐𝒎𝒐 𝒄𝒉𝒆 𝒉𝒂 𝒑𝒖𝒓𝒐 𝒊𝒍 𝒔𝒖𝒐 𝒄𝒖𝒐𝒓𝒆 | 𝒆 𝒐𝒈𝒏𝒊 𝒈𝒊𝒐𝒓𝒏𝒐 𝒔𝒊 𝒓𝒂𝒄𝒄𝒐𝒈𝒍𝒊𝒆 𝒊𝒏 𝒑𝒓𝒆𝒈𝒉𝒊𝒆𝒓𝒂 | 𝒑𝒖𝒐̀ 𝒅𝒊𝒗𝒆𝒏𝒕𝒂𝒓 𝒍𝒖𝒑𝒐, 𝒔𝒆 𝒇𝒊𝒐𝒓𝒊𝒔𝒄𝒆 𝒍’𝒂𝒄𝒐𝒏𝒊𝒕𝒐 | 𝒆 𝒍𝒂 𝒍𝒖𝒏𝒂 𝒑𝒊𝒆𝒏𝒂 𝒔𝒑𝒍𝒆𝒏𝒅𝒆 𝒍𝒂 𝒔𝒆𝒓𝒂
[𝑳’𝒖𝒐𝒎𝒐 𝒍𝒖𝒑𝒐 – 1941]
Oggi vi parlo di Fate, Pandafeche e Mazzamurelli, la raccolta a cura di David Ferrante sulle misteriose creature del folklore abruzzese. Uno dei racconti – Una vita maledetta di Laura Di Nicola – tratta di uno dei cliché horror che preferisco: il lupo mannaro.
Ero un ragazzino assetato di storie misteriose quando mio padre – chietino DOC della Pietragrossa – mi raccontò la rocambolesca notte in cui, assieme ai suoi amici, videro un lupo mannaro che si dannava, rotolava a terra e disperava alla ricerca d’acqua. Chissà cosa videro realmente, forse un disgraziato affetto da qualche patologia psichiatrica, magari proprio la rarissima licantropia clinica, chissà?
Fatto sta che quel racconto produsse su di me un’impressione fortissima, e da allora divenni un avido consumatore di film, libri, trattati e fumetti sulla terribile figura.
𝑼𝒏 𝒑𝒐’ 𝒅𝒊 𝒔𝒕𝒐𝒓𝒊𝒂
L’etimologia di licantropo non lascia dubbi: lykos, lupo in greco, e anthropos, uomo. Lupo mannaro deriva dal latino volgare, lupus hominarius. In Abruzzo abbiamo il lopomenare, ma più o meno ogni regione ha la sua versione dell’irsuta creatura.
L’origine della leggenda va ricercata nell’evoluzione della storia dell’uomo, del suo rapporto col lupo e – in definitiva – della volubilità umana. Da principio il lupo era visto come creatura feticcio, in quanto abile predatore, nume a cui raccomandarsi per la riuscita delle battute di caccia. Quando l’uomo divenne stanziale e allevatore, il lupo fu il nemico da combattere, demoniaca creatura mostruosa, e da qui la nascita della terribile creatura metà uomo e metà lupo; oggi il quadrupede è tornato a essere amico dell’uomo, che, dopo averlo quasi sterminato, cerca con amorevole senso di colpa di proteggerlo.
𝑸𝒖𝒂𝒍𝒄𝒉𝒆 𝒕𝒓𝒂𝒅𝒊𝒛𝒊𝒐𝒏𝒆
Nell’antica Roma il lupo mannaro prendeva il nome di versipellis, in quanto si riteneva che la trasformazione avvenisse rovesciando la pelle, evidentemente irsuta all’interno; la fantasia certo non mancava.
Nelle culture norrene erano presenti le figure del Bersekr e del Ulfheonar, stirpe di guerrieri cara a Odino che si trasformava nel furore della battaglia; i primi in orsi, i secondi in lupi. Tra i vichinghi si annovera anche Fenrir, prototipo del moderno lupo mannaro e figlio di Loki, dio norreno dell’inganno.
In Francia abbiamo il Loup garou – e vi consiglio a proposito il bellissimo giallo di Fred Vargas L’uomo a rovescio – in Germania il Werwulf e in Gran Bretagna il cugino Werewolf. Tra i Pawnee, tribù nativa americana, il lupo era un animale totem e i guerrieri andavano in battaglia abbigliati con le sue pelli; in Argentina e Paraguay troviamo il Lobizon, uomo lupo piuttosto raro, se pensate che deve essere il settimo figlio di un settimo figlio; è invece del Suriname il temibile Azeman.
𝑫𝒊𝒗𝒆𝒏𝒕𝒂𝒓𝒆 𝒖𝒏 𝑳𝒖𝒑𝒐 𝑴𝒂𝒏𝒏𝒂𝒓𝒐: 𝒒𝒖𝒂𝒍𝒄𝒉𝒆 𝒅𝒓𝒊𝒕𝒕𝒂
Trasformarsi in un lupo mannaro non è impresa semplice. Il tradizionale morso di un altro licantropo pare sia invenzione recente, roba da cinema insomma, ereditata dai cugini vampiri; fin dal Medioevo la trafila più semplice è affidarsi alla magia e a riti demoniaci, incluso il sempre valido patto col diavolo; anche una maledizione scagliata al momento giusto può fare al caso nostro; la luna è da sempre associata alla trasformazione, in particolare qui in Abruzzo basta passare la notte all’aperto dormendo sotto il plenilunio per diventare un lopemanare; anche nascere a Natale o nel giorno dell’Epifania può portare allo stesso risultato: per scongiurare la maledizione basterà marchiare a fuoco il bambino per i successivi tre natali, possibilmente imprimendo una croce sotto la pianta del piede con un ferro arroventato; quale pediatra non lo consiglierebbe?
Nell’est europeo paiono particolarmente infausti i fiori neri, a trovarli.
𝑫𝒊𝒇𝒆𝒏𝒅𝒆𝒓𝒔𝒊 𝒅𝒂𝒍 𝒍𝒊𝒄𝒂𝒏𝒕𝒓𝒐𝒑𝒐 𝒇𝒐𝒓 𝒅𝒖𝒎𝒎𝒊𝒆𝒔
Temete di incontrare la demoniaca creatura? Niente paura, alcuni metodi di autodifesa sono alla portata di tutti.
L’argento rimane quello più efficace, e allora via libera a coltelli, pallottole e quant’altro; anche le scale sono però invise al peloso nemico, che non è in grado di salire – dio sa perché – i gradini: basterà rifugiarsi sul pianerottolo e potrete prenderlo anche a pernacchioni; specialmente in Abruzzo – come nel racconto di mio padre – basta un po’ d’acqua per far ritornare in sé l’uomo lupo; buona regola è quindi lasciare fuori dalla porta un secchio colmo d’acqua.
Tra gli altri rimedi, i fiori d’aconito, il fuoco e un paio che mi sento di sconsigliarvi per la poca praticità: colpire la creatura con una chiave senza buchi – chi non ne ha sempre una con sé? – o fargli stillare tre gocce di sangue, rigorosamente con un forcone.
Ma del resto, chi mai vorrebbe fare del male a una creatura che accompagna le nostre letture e visioni da tanto tempo?
Illustrazione: Weird Tales (November 1941)