𝑶𝒉 𝑩𝒂𝒓𝒃𝒂𝒓𝒂/𝑪𝒉𝒆 𝒄𝒐𝒈𝒍𝒊𝒐𝒏𝒂𝒕𝒂 𝒍𝒂 𝒈𝒖𝒆𝒓𝒓𝒂/𝑪𝒉𝒆 𝒏𝒆 𝒆̀ 𝒅𝒊 𝒕𝒆 𝒐𝒓𝒂/𝑺𝒐𝒕𝒕𝒐 𝒒𝒖𝒆𝒔𝒕𝒂 𝒑𝒊𝒐𝒈𝒈𝒊𝒂 𝒅𝒊 𝒇𝒆𝒓𝒓𝒐/𝑫𝒊 𝒇𝒖𝒐𝒄𝒐 𝒅’𝒂𝒄𝒄𝒊𝒂𝒊𝒐 𝒅𝒊 𝒔𝒂𝒏𝒈𝒖𝒆.
[𝑱𝒂𝒄𝒒𝒖𝒆𝒔 𝑷𝒓𝒆𝒗𝒆𝒓𝒕 – 𝑩𝒂𝒓𝒃𝒂𝒓𝒂]
Come sempre mi capita, sono entrato in contatto col mondo di Ilaria Tuti casualmente.
Nel solito mercatino vidi una copia di Fiori sopra l’inferno e – non saprei dirvi perché – me ne impossessai; avete presente le solite menate, tipo “mi ha colpito la copertina” o “quel libro sembrava chiamarmi”? Niente di tutto ciò, ed è proprio questo il bello: senza motivi particolari me lo portai a casa e iniziai a leggerlo. Rimasi conquistato, più dalle suggestioni che dalla storia in sé.
Oggi vi voglio parlare del suo ultimo romanzo, Fiore di roccia; in futuro penso che dirò qualcosa anche sui precedenti, visto che la sua Teresa Battaglia è sicuramente uno dei personaggi più riusciti del giallo contemporaneo.
Due parole sulla trama; Fiore di roccia è un romanzo storico, ambientato durante la Prima Guerra Mondiale e narra una vicenda quasi dimenticata, quella delle portatrici carniche. Ovvero un manipolo di donne, perlopiù umili contadine friulane, che diedero il loro contributo portando rifornimenti, viveri e munizioni ai soldati impegnati in prima linea, sulle montagne. Portavano anche qualcos’altro, la speranza.
Ma sulla trama non vi dico altro, è un libro che va acquistato, letto e sofferto senza saperne troppo di più. Quello che mi preme raccontare è lo straordinario stile di Ilaria Tuti; la profonda sensibilità che traspare da ogni sua pagina, non solo in questo libro ma anche nei suoi gialli. Ogni parola sembra stillare dall’animo della scrittrice attraverso una sofferenza reale; si vede che Ilaria è una scrittrice che entra completamente dentro la storia che racconta, e posso solo immaginare il dramma di uscirne, a percorso completato.
Mi è capitato, purtroppo per esperienza personale, di immedesimarmi completamente, fino alla più bastarda commozione, nelle pagine in cui Agata – la protagonista di Fiore di roccia – accudisce il padre morente, e lo fa come se il suo fosse il più sacro dei compiti, perché “la nascita e la morte appartengono alle donne”.
Un’altra cosa; nei romanzi della Tuti, più che la trama, vero grande protagonista è l’ambiente, le montagne che la scrittrice vive da sempre.
Leggendo pare di avvertire l’inquietudine dei boschi, l’apparire improvviso di un animale selvaggio, i colori tenui e angosciosi della nebbia, le atmosfere sospese di un tempo rallentato. Nell’approccio di Ilaria al racconto delle sue montagne pare nascondersi qualcosa di ancestrale, e lei è bravissima a trasmettere queste sensazioni a chi legge; certo, la lettura a volte è impegnativa, non tanto per lo stile che si mantiene semplice e abbordabile, quanto per l’empatia verso le sofferenze dei personaggi che la Tuti trasmette, quasi sfibrante.
Un’ultima cosa, che vale anche da consiglio a chi scrive: Ilaria Tuti è una che studia.
In ogni suo romanzo si indovina una storia reale che deve averla colpita, e di cui la scrittrice si impossessa fino a farla completamente sua, miscelando sapientemente verità, fantasia e influenze esterne. Nell’ultimo romanzo, in alcune scene, pare di assistere al devastante capolavoro del cinema di guerra “Orizzonti di gloria, di Stanley Kubrick; forse il più grande affresco sulla Prima Guerra Mondiale e uno dei due o tre film migliori nel rendere lampante l’insensatezza di qualsiasi conflitto.
In Fiore di roccia, per dire, c’è una bibliografia sulle portatrici lunga quanto la barba del profeta; chi ne sarà incuriosito, potrà sapere di più sulla storia di queste donne straordinarie, figlie di tempi cupi, a cui la guerra ha chiesto tanto, per poi dimenticarle in fretta.
Se non si fosse capito, il libro è consigliato.